Recentemente molte testate giornalistiche hanno pubblicato articoli di cronaca sulla ‘ndrangheta a Buccinasco. Qual è la storia dei clan calabresi a Buccinasco? Cosa sta realmente accadendo nella cittadina del sud-ovest milanese?
La madrepatria e la colonia
“Se San Luca è il cuore della ‘ndrangheta Platì è la sua mente”. Così recita il libro ‘Fratelli di Sangue’ scritto dal Procuratore Aggiunto della Dda di Reggio Calabria Nicola Gratteri e dallo storico di organizzazioni mafiose Antonio Nicaso. Sulle cime sperdute dell’Aspromonte reggino sorge Platì, un paesino di 3.700 abitanti che da oltre cento anni subisce il dominio delle ‘ndrine. Il ‘locale’ di Platì si è esteso nel Lazio, in Lombardia, in Piemonte, in Francia, in Australia e nel Sud America. I clan originari di questo territorio (Agresta, Barbaro, Catanzariti, Marando , Molluso, Musitano, Papalia, Perre, Sergi, Trimboli, Violi e Zappia) rappresentano tra le più efficaci forme di potere e ricchezza dei gruppi criminali esistenti in Calabria. La più ‘prestigiosa’ cosca di Platì è quella dei Barbaro, suddivisa in tre ‘ndrine distaccate: ‘u pillari, ‘u castano e ‘u nigru, le quali risultano attive nel traffico internazionale degli stupefacenti, nel ciclo del cemento e nelle attività estorsive. Inoltre, grazie al matrimonio celebratosi nel 2009 tra Giuseppe Barbaro (‘u castanu) e Elisa Pelle (figlia di Antonio Pelle, detto ‘Gambazza’ ex capo della ‘ndrangheta, deceduto nel 2010), il clan egemone di Platì ha ulteriormente consolidato il suo potere all’interno della mafia calabrese. Le cosche della cittadina situate nella Locride sono presenti anche in Lombardia. Nel sud-ovest milanese, a Buccinasco, i clan calabresi sono riusciti a realizzare la ‘colonizzazione’ di un territorio. La realtà di Buccinasco meglio spiega il concetto de ‘Il Contagio’, raccontato all’interno del libro scritto dagli ex procuratori della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino. Anche il libro pubblicato nell’ottobre 2012, ‘Buccinasco. La ‘ndrangheta al Nord‘ scritto dal sociologo Nando dalla Chiesa e dalla ricercatrice Martina Panzarasa spiega, attraverso una ricostruzione storica e sociologica, come le cosche di Platì hanno riprodotto il modello operativo della ‘casa madre’ nel Nord Italia. La particolarità dell’area di Buccinasco è che qui non ci sono stati boss mandati al soggiorno obbligato. I clan calabresi si sono insediati nella cittadina prima realizzando furti e rapine, poi sequestri di persona e successivamente sono entrati nel traffico degli stupefacenti avvalendosi delle alleanze con i clan siciliani operanti nella confinante Trezzano sul Naviglio. Molti esponenti di spicco della ‘ndrangheta hanno operato nella provincia milanese, su tutti i fratelli Papalia: Antonio, Rocco e Domenico. Eclatante caso di ‘contagio’ è l’omicidio avvenuto proprio a Buccinasco nel 1989 dell’avvocato di fiducia dei Sergi, Raffaele Ponzio, da loro ucciso per aver concesso una consulenza legale a Rocco Papalia senza il loro consenso. In seguito alla maxi operazione Nord-Sud dell’ottobre ’93 che porta alla condanna di 133 persone al 416 bis (di cui 42 originari di Platì) subentra la seconda generazione: attraverso il matrimonio tra Serafina Papalia (figlia di Rocco) e Salvatore Barbaro (figlio di Domenico Barbaro, detto ‘Mico l’australiano’) la dinastia prosegue.
Gli intoppi della cassazione
La “vocazione” della nuova generazione dei clan calabresi operanti nel sud-ovest milanese è il movimento terra: attraverso metodi violenti, estorsivi ed omertosi riescono ad assoggettare la concorrenza e ad intessere rapporti con il potere costituito. Questo scenario emerge nitidamente nei processi, ancora in corso, Cerberus (2008) e Parco Sud (2009), nei quali sono imputati i presunti esponenti del clan Barbaro-Papalia. Questi procedimenti mettono in mostra i limiti della magistratura milanese sulla tematica mafiosa. Infatti in ambedue le circostanze, la cassazione ha bocciato l’aggravante mafiosa riportando il dibattimento in appello. Nel caso di Cerberus viene annullata con rinvio la sentenza di secondo grado in cui i clan sono accusati “di fare parte di un’associazione mafiosa denominata Barbaro-Papalia che, avrebbe raggiunto una posizione dominante nel movimento terra a Buccinasco’’. E’ notizia di maggio 2013 che il procedimento torna in cassazione. Nel processo Parco Sud, nel giugno 2013 l’impianto accusatorio viene smontato sempre dalla cassazione, secondo il principio del ‘‘ne bis in idem’’ che comporta ‘’il divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto nei confronti dello stesso imputato’’. Questa formula viene applicata perché i presunti esponenti della cosca, attiva in Lombardia, sono stati processati due volte a Milano per lo stesso reato di associazione mafiosa. Ciò ha portato alla scarcerazione di Domenico Papalia (figlio di Antonio Papalia), di Antonio Perre e di Domenico Barbaro, detto ‘Mico l’australiano’. E’ probabile che a breve vengano scarcerati altri presunti esponenti del clan, prima che l’appello bis di ‘Parco Sud’ inizi il nuovo iter il 27 novembre.
Buccinasco nel 2013
Nell’anno in corso, diversi articoli raccontano vicende di cronaca nera e corruzione: a fine gennaio le intimidazioni alla Vice Presidente provinciale milanese del Partito Democratico Carmela Mazzarelli e alla giornalista de ‘Il giorno’ Francesca Santolini, ad aprile una sparatoria nella zona dell’Esselunga confinante con Corsico, a fine maggio gli arresti ai danni di 8 persone per traffico di sostanze stupefacenti, a metà ottobre, l’ex sindaco Loris Cereda viene condannato in primo grado a 4 anni e 3 mesi per corruzione. Questi fatti fanno di Buccinasco una realtà burrascosa. Intanto, sulla presenza mafiosa, emerge che Paolo Sergi condannato a sei ergastoli per omicidio, sequestro di persona, traffico di droga e associazione mafiosa è dal 2011 ai domiciliari in una villa a Zibido San Giacomo (limitrofo a Buccinasco) per motivi di salute. Sua sorella, Rosa si è sposata con Antonio Papalia, il cui figlio, Domenico è stato recentemente scarcerato in seguito alla bocciatura della cassazione nel processo Parco Sud.
Conclusione
Gli scenari appaiono evidenti: le cosche di Platì rappresentano l’élite di quella che è oggi l’organizzazione mafiosa più pericolosa d’Italia. La magistratura e la politica non riescono a contrastare in maniera efficace i clan presenti nel sud-ovest milanese e le recenti notizie che si susseguono non sembrano positive.