Un poema, figlio dello “sdegno per la disonestà mafiosa”. Un poema, figlio di un “un senso di disonestà, sporcizia, viltà verso me stesso”. Daniele Lo Giudice, ventiquattrenne cittadino di Pioltello (Milano), di mestiere educatore, risponde così quando gli chiedo come e da cosa sia nata La preghiera dei miserabili che leggerete pubblicata qui di seguito. Un poema, ancora, che nelle intenzioni del suo autore, vuole essere “un monito alle persone, al popolo, alla gente comune, una provocazione alle coscienze di questi per esorcizzare la meschinità, che ogni uomo cova, e rompere l’incantesimo di viltà sociale che ci attanaglia”. Un poema, infine, riassumibile in una parola; gliela chiedo: coscienza, risponde. “Perchè è sempre lei la mittente e la ricevente dei miei messaggi. Non sono io a comunicare con gli altri: la mia coscienza comunica a me il messaggio ed io sono il ponte attraverso cui raggiungo gli altri, che a loro volta destinano il messaggio alla propria coscienza. Alla fine quello che voglio è un’onesta chiacchierata tra coscienze”.
Nel ventennale della strage, Stampo Antimafioso ricorda così il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Grazie, Daniele.
La preghiera dei miserabili
L’omertà storica
produce i martiri della memoria.
Lo scetticismo ci nasconde i virtuosi ancora vivi
e la conseguente indifferenza li rende morti.
L’ipocrisia infine
è il seme del nostro senso di colpa
che abbiamo di fronte ai martiri,
vittime per cui ci rimproveriamo la fine
ma con l’atteggiamento rassegnato di chi si affida al fatalismo,
attrezzandoci a rimboccarci gli occhi sotto coperte di lacrime
così da non vedere chi ancora martire non è
ma merita la stessa pubblicità, lo stesso orgoglio.
Ma pare che qui si riconosca il coraggioso
solo quando di cognome fa caduto,
solo se ha la sostanza di metallo e le sembianze canoniche,
perfette e distanti
delle statue
perfette perché inanimate, impossibilmente reali.
Gli attribuiamo così quell’alone divino
che lo risalta e insieme allontana da noi,
lo allontana a tal punto da renderlo ideale,
da ricordarlo solo come statua,
mai esistito realmente da umano
come il Gesù figlio di dio
e non il cristo uomo rivoluzionario.
Coraggioso caduto è una statua, è un concetto, un ideale
coraggioso caduto è perfetto perché inanimato
mentre noi siamo qui
non possiamo che contemplarlo
noi esseri animati quindi imperfetti,
imperfetti quindi legittimamente paurosi,
non coraggiosi,
uomini quindi imprescindibilmente, naturalmente vili,
insomma.
E lui? Quest’uomo che pare un cortocircuito: vivo e coraggioso al contempo?
A lui non pensiamo!
Lui è ancora vivo.
Qual è il suo sacrificio?
Nessuno
Appunto.
Lui non è ancora morto, non merita tutto ciò
Non merita il nostro senso di colpa
Unica vera ricchezza
unica vera responsabilità
unica vera dignità
di noi miserabili.
La pena: piangere ciò che non si ha.
La colpa: piangere per ciò che si è perduto.
E quando ce l’abbiamo a un passo non la vogliamo prendere
perché se la prendiamo poi che facciamo?
Di che ci lamentiamo?
Con chi ce la prendiamo?
Di che cosa abbiamo paura, poi?
Che senso abbiamo?
La libertà è una responsabilità che troppo spesso non ci sentiamo di prendere.
E allora aspettiamo che muoia
Cosi poi piangiamo, no?
Soffriamo, no?
Ci uniamo.
Aspettiamo che muoia,
così poi viviamo
hai paura di non avere più paura, eh?!
Aspettiamo che muoia
così l’uomo diviene martire,
il martire santo
e noi possiamo espiare le nostre colpe.
Esso è il sacrificio necessario alla nostra liberazione
perché ogni cultura ha i suoi simboli, eroi, idoli.
E nell’epica della miseria,
nella morale della paura
gli eroi sono morti,
gli eroi sono eroi perché sono morti
come le rock star che fino a che sono vive non se le caca nessuno
e quando crepano diventano indimenticabili
quando crepano quello che hanno fatto da vivi era bellissimo
perché sono morti.
Come se morire sia l’azione più dignitosa di chi vive come noi
come i miserabili
e non è un eroe perché ha fatto quelle robe da vivo
è un eroe perché è morto! Perché se n’è andato
e noi non abbiamo neanche il coraggio di morire,
di diventare caduti, quindi di essere coraggiosi
mentre gli eroi sì,
i coraggiosi,
ecco perché si chiamano coraggiosi caduti.
Per noi miserabili
umani
quindi imperfetti
quindi paurosi
quindi vili
non c’è pace qui
non ci resta che onorarli con le nostre lacrime e piagnistei.
L’unica nostra dignità è umiliarci per la viltà di vivere invece che la virtù di morire.
Non c’è pace qui
Perché se si prova sollievo dignità solo nel senso di colpa per non aver preso ciò che si poteva e ciò che si è perduto
Il più grande senso di colpa
il più grande, sommo sollievo
il momento più alto, virtuoso
nella vita di un miserabile
è la morte
perché lì perdi veramente tutto
li sì che puoi davvero provarne di senso di colpa
peccato che sei morto!
miserabile e pure mazziato
destino crudele il nostro!
Forse è per questo che si crede ad un “dopo”:
un grosso posto dove tutti piangiamo
ci disperiamo
e soffriamo
e ci abbracciamo
per aver perso tutto
così dev’essere il paradiso nel girone dei miserabili.
Invece di star qui, parcheggiati in sto limbo ad aspettare di vivere quando muore qualcuno.
E allora avanti, cosa aspettiamo?!
Cos’abbiamo da perdere anzi, cos’abbiamo da guadagnarci?
Abbiamo solo da perdere. Appunto! E per noi è tutto di guadagnato!
E allora miserabili uniamoci
compiamo l’ultimo grande atto di dignità e sacrificio che ci spetta in quanto miserabili:
martirizziamoci
e abbandoniamoci finalmente nella beata ed eterna paura.
Dimenticavo, che coglione,
noi miserabili non lo facciamo proprio perché siamo miserabili
non siamo capaci di vivere per noi stessi,
ma ce l’abbiamo un Dio, no?
Si che ce l’abbiamo!
E allora Dio e a te che parlo anzi parliamo:
ti abbiamo fatto voto di scetticismo di indifferenza di omertà di paura,
che cosa aspetti ad esaudire il nostro desiderio
Ammazzaci
Facci vivere
Ammazzaci
Facci vivere
Ammazzaci
Facci vivere
Ammazzaci
Facci vivere
Ammazzaci
Facci vivere
Amm…
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