di Matilde Aliffi
«A partire da ciò che è moralmente ripugnante bisogna muoversi per ricostruire l’etica pubblica di questo Paese» ha detto Francesco Forgione, presidente della commissione parlamentare antimafia tra il duemilasei e il duemilaotto, in occasione della presentazione del suo libro Porto Franco che si è tenuta nella serata di lunedì diciassette dicembre nella sala civica di Via San Giovanni a Vighizzolo di Cantù. L’incontro, organizzato dal coordinamento provinciale di Libera Como, con il patrocinio del Comune di Cantù, è stato seguito una cinquantina di partecipanti, tra cui molti giovani. Un incontro denso che ha preso avvio da cinque storie presenti nel libro cui è seguita oltre un ora di discussione, nel quale sono stati toccati molti temi caldi che riguardano la presenza mafiosa nel territorio lombardo, il legame tra mafia e politica e le difficoltà della legislazione antimafia.
Prima dell’inizio dell’incontro Andrea di Uniamiamo l’Italia in Vespa e Libertà ha presentato l’iniziativa di un viaggio simbolico in occasione dell’anniversario dei vent’anni dalle stragi dei giudici Falcone e Borsellino, che idealmente si propone di unire Milano a Palermo, passando da luoghi simbolo di impegno civico lungo tutto lo Stivale. «L’idea del viaggio è quella di creare una rete di persone che vogliono impegnarsi in questo percorso, raccogliere pensieri e riflessioni da lasciare sull’albero Falcone, a Palermo, al termine del nostro viaggio».
L’incontro è stato condotto da Tommaso Marelli, referente del coordinamento di Libera Como che ha chiesto a Forgione il motivo per cui ha deciso di pubblicare Porto Franco. «Il libro – ha detto Forgione – nasce dal fatto che la ‘Ndrangheta è una associazione criminale che dall’opinione pubblica è considerata “di serie B”, e invece ora è l’organizzazione criminale più forte del mondo. Essa viene rappresentata dai media nei suoi aspetti più violenti, ma difficilmente viene descritta anche negli aspetti di modernità, di legami con la politica e la finanza». Questo tuttavia non è l’unico mito erroneo che riguarda la ‘ndrangheta presente nell’opinione pubblica. Essa infatti «viene spesso considerata “senza territorio”, data la sua straordinaria espansione, tanto da essere stata descritta come mafia “liquida”, proprio in quanto capace di diffondersi e penetrare in ogni spazio lasciato libero dalle istituzioni. Tuttavia questa descrizione tralascia un elemento fondamentale, ossia il controllo del territorio, e il profondo legame con esso».
Il libro si propone di raccontare di questi aspetti della ‘ndrangheta attraverso alcune storie che hanno come protagonisti i boss della famiglia Piromalli e che prendono avvio dal porto di Gioia Tauro, il più grande terminal per transhipment del Mediterraneo, situato in un luogo strategico per i commerci marittimi, operativo dal novantasette, ora praticamente in mano alla ‘ndrangheta. Lungo la narrazione nel libro si incontrano persone come Dell’Utri, Andreotti e Chavez, ci si muove dal Porto di Gioia Tauro alla Lombardia, gli Stati Uniti e al Sud America. Leggendo queste Storie Forgione ha voluto descrivere alcuni aspetti della ‘ndrangheta che possono essere usati come chiave di lettura per comprendere le sue dinamiche della in qualsiasi altro territorio dove essa è presente. Le storie parlano di intrecci tra mafia e politica, legami con la massoneria, interessi economici nei quali la ‘ndrangheta si insinua, sia a livello nazionale che internazionale, corruzione nell’attribuzione di appalti, ricerca del consenso, traffici di droga, aspetti che sono più vicini a questi territori di quanto non si possa pensare. Il territorio della Lombardia infatti è colonizzato dalla ‘ndrangheta, e in questo territorio è presente una domanda di servizi criminali alta, infatti «a Milano c’è il secondo mercato in Europa per la cocaina, il movimento terra è invaso dalla presenza ‘ndranghetista, ci sono discoteche, imprenditori e locali pubblici in mano alla ‘ndrangheta» e anche in Lombardia, come mostrano le recenti indagini, la ‘ndrangheta è in grado di controllare i voti. «La presunzione del Nord è stata quella di sottovalutare il problema, di pensare che insieme ai soldi dei mafiosi non arrivassero anche i mafiosi. Il magistrato Ilda Bocassini sostiene che anche in Lombardia si può parlare di meccanismo di omertà che si diffonde. Bisogna quindi costruire un anticorpo di coscienza civile e politica che permetta di arginare e contrastare questo fenomeno».
Questi racconti parlano di zone grigie che coinvolgono da professori universitari a parti organiche dello Stato. Si parla di politici legati ai clan, magistrati che informano in anticipo sentenze dei processi ai boss, giudici in affari con la ‘ndrangheta, carabinieri corrotti. Una parte del libro sicuramente scomoda, che tuttavia non vuole lasciare adito a indebite generalizzazioni. «Raccontare queste storie significa creare indignazione, rompere il muro di silenzio che ha permesso alla ‘ndrangheta crescere, ma si deve ripartire da tutti coloro che quotidianamente compiono il loro dovere, che esercitano correttamente la propria professione».
Il libro oltre ad assolvere una funzione culturale secondo Forgione è servito anche per indirizzare l’interesse delle forze dell’ordine venezuelane verso Aldo Micciché, amico dei boss dei Piromalli al quale è dedicato ampio spazio nel libro. Egli infatti è stato arrestato nell’estate di quest’anno a Caracas.
Tuttavia anche se in alcuni di questi intrecci descritti nel libro non si è ancora arrivati a qualcosa di penalmente rilevante, c’è sicuramente qualcosa di «moralmente ripugnante» e sulla base di questa ripugnanza bisogna «ricostruire l’etica pubblica di questo paese».
Durante lo spazio dedicato alle domande sono stati affrontati alcuni temi caldi. È stato fatto riferimento al fatto che il contrasto alla criminalità organizzata nel programma dei candidati alle primarie di centrosinistra non sembrasse assumere un peso di primo piano, domanda che coinvolge particolarmente l’autore, poiché Forgione è stato tra i sostenitori di Nichi Vendola alle primarie. Secondo Forgione l’antimafia è un tema sicuramente affrontato dai candidati, molte delle misure presenti nel suo programma infatti, come l’introduzione del falso in bilancio, reato civetta per trovare deposito di fondi occulti, l’introduzione del reato di corruzione tra privati e il reato di autoriciclaggio sono estremamente utili per il contrasto alla criminalità organizzata. Misure che mancano nella legislazione antimafia italiana e che, come Forgione ha fatto notare, ora appartengono anche al programma di Bersani. «Non bisogna cercare spettacolarizzazione politica su questi temi, ma una risposta concreta, non emergenziale, alla presenza strutturale della criminalità organizzata nello Stato Italiano».
Per quanto riguarda la contrarietà di Forgione dell’esclusione dalla commissione parlamentare antimafia di persone imputate proprio per processi di mafia, questione che è stata al centro di una polemica con Travaglio, per Forgione bisogna stare attenti a non rinunciare in nome della lotta alla mafia ai principi del garantismo, poiché «la lotta alla mafia non vive solo di repressione, ma di democrazia, di una democrazia che ambisce ad essere così forte da poter assolvere anche una funzione rieducativa nei confronti di chi ha commesso un reato. È proprio la radicalità democratica che rende questo un paese civile». Si deve tenere presente infatti, secondo Forgione, che l’introduzione di una norma come questa potrebbe essere usata proprio dai mafiosi per eliminare persone “scomode” all’interno della commissione.
In ogni caso secondo Forgione la lotta alla mafia deve unire tutte le forze civili di questo paese, bisogna recuperare la serietà di toni del confronto affinché uniti si riesca a contrastarla al meglio.