di Evelyn Crippa
Ad oltre un mese di distanza dalla scomparsa di Antonio Strangio, avvenuta nel piccolo comune di San Luca, in provincia di Reggio Calabria, lo scorso 15 novembre, rimane un alone di mistero e di preoccupazione che pervade tutta la zona della Locride. Il caso del 42enne allevatore calabrese, stando alle ricostruzioni, ha assunto contorni inquietanti dopo il ritrovamento della sua auto carbonizzata con, all’interno, quelli che inizialmente erano stati considerati i resti di una carcassa animale, ma che in seguito sono stati identificati come resti umani. La Procura della Repubblica di Locri, per stabilire definitivamente se i resti possano appartenere all’allevatore, ha disposto il loro trasferimento in un centro sanitario specializzato di Messina, così da poter condurre tutti gli esami sui frammenti ossei, le analisi tecniche, una Tac e l’esame del Dna per incrociarlo con quello dei famigliari dell’uomo. In attesa degli esiti, i sussurri che si ascoltano nel paesino un tempo noto come la “culla della ‘ndrangheta”, che in primavera era stato nuovamente sciolto per mancanza di candidati a sindaco, non sono rassicuranti.

Il profilo. Antonio è figlio di Giuseppe Strangio, noto alle cronache, come ricostruito dal Corriere della Sera, per aver partecipato ad alcuni sequestri “eccellenti” legati alla ‘ndrangheta, come quello di Cesare Casella, il 19enne imprigionato per ben 743 giorni sulle montagne dell’Aspromonte. Strangio è  un cognome noto a San Luca, specie se associato alla storica faida patita nei primi anni 90. Le inchieste, però, avrebbero inquadrato Giuseppe Strangio in un altro ramo della famiglia, gli Strangio “Barbaro”. Basterebbe questo a tingere di giallo la vicenda, ma a ciò si aggiunge l’atteggiamento della famiglia dello scomparso che si è trincerata in un totale riserbo e, lo scorso dicembre, ha fatto affiggere ai muri del paese un manifesto listato di nero nel quale ringrazia la popolazione per la vicinanza e allo stesso tempo «dispensa dalle visite». Proprio come si usa in occasione di un lutto stretto.

San Luca e le “faide”. Per capire il contesto, ad oggi apparentemente del tutto slegato daIle vicende riguardanti la scomparsa, bisogna rileggere alcuni passaggi cruciali della storia di San Luca. I “Nirta-Strangio” sono tra i clan più potenti della ‘ndrangheta ionica. Nel territorio di Reggio Calabria diverse sono le faide che nel corso di questi anni hanno causato decine e decine di morti. La più nota, nel territorio, è quella tra i Nirta-Strangio e i Pelle-Vottari. La faida tra le due famiglie è risalente nel tempo. Secondo le ricostruzioni dell’epoca, sarebbe iniziata con un banale scherzo di Carnevale. Un lancio di uova verso un circolo all’epoca gestito dai Pelle-Vottari che avrebbe innescato una reazione a catena dando inizio a una lunga mattanza. Dopo un periodo di calma apparente, il 25 dicembre 2006 viene uccisa Maria Strangio, moglie di Giovanni Luca Nirta, reale obiettivo dei sicari, il quale, invece, si salverà.

La faida ricomincia. Per ricomporre la frattura si sarebbe arrivati, come narrano alcune indagini e collaboratori di giustizia, alla convocazione di una “commissione provinciale”, composta dalle principali famiglie ‘ndranghetistiche reggine, senza esito. L’ultimo capitolo viene scritto con la nota strage di Duisburg, quando nella notte del 15 agosto 2007, a più di duemila chilometri dal paesino calabrese di San Luca, davanti al ristorante “Da Bruno” di proprietà dei fratelli Strangio, ci fu un agguato in cui morirono sei persone ritenute vicine ai “Pelle-Vottari-Romeo” (rivali storici dei Nirta – Strangio). Stragi, queste, che spesso avvengono in periodi festivi. Giorni di festa che devono diventare e rimanere, per sempre, giorni di lutto.

Sarà guerra? Quello che è certo è che la ‘ndrangheta è intatta, anzi molto più forte, ricca e armata rispetto agli anni scorsi

Ilario Ammendolia, l’Unità

Un omicidio di mafia? In attesa di capire se effettivamente i resti ritrovati nell’auto dell’allevatore siano quelli di Antonio Strangio, ci si interroga su quale potrebbe essere la matrice dietro alla scomparsa e se, in qualche modo, potrebbe essere legata agli ambienti della criminalità organizzata. Un’ipotesi, come spiega Ilario Ammendolia sulle colonne de l’Unità, che, se confermata, potrebbe avere gravi conseguenze che andrebbero ad intaccare lo storico accordo di non belligeranza che si presume essere stato firmato tra i clan: “Oggi, qualcuno all’interno della ‘ndrangheta si sente così forte da mettere in discussione l’armistizio. Sarà guerra? Quello che è certo è che la ‘ndrangheta è intatta, anzi molto più forte, ricca e armata rispetto agli anni scorsi. Pronta a far muovere l’ala militare e scatenare una nuova guerra di mafia che verosimilmente andrebbe ben oltre San Luca”, si legge. La situazione, dunque, rimane estremamente tesa e i rischi non si possono sottovalutare in quanto una nuova guerra di mafia avrebbe effetti devastanti sul tessuto sociale.

  

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