di Ilaria Franchina

Il 19 luglio 1992, in via D’Amelio a Palermo, perdono la vita, assieme al giudice Paolo Borsellino, cinque dei sei agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Eddie Cosina, Vincenzo (Fabio) Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano. Due di loro sono poco più che ragazzi: Emanuela aveva 25 anni e Vincenzo appena 22.

Negli anni, la memoria di quell’evento traumatico viene portata avanti da una società ribelle, stanca di sottomettersi alla violenza mafiosa e ai depistaggi di alcuni corpi dello Stato. Tra questi cittadini e cittadine vi sono testimoni particolari, la cui storia e il cui dolore non è paragonabile a quello di chi ha vissuto quei fatti, anche se da vicino. Sono i familiari di chi è stato assassinato da quella violenza. A volte hanno il volto di nipoti, come nel caso di Silvia, che ha dovuto confrontarsi con un dolore ingiustificabile -che ancora oggi chiede spiegazioni- a soli sedici anni. Ai familiari spetta un compito che nessuno avrebbe il diritto di chiedere e che certamente non sarebbe un dovere esigibile da chi ha dato già tanto ai suoi concittadini. Hanno perso un membro della loro famiglia, dovendo sopportare una lacerazione ben più grande di quella lasciata dall’esplosione di Via D’Amelio o dello svincolo autostradale di Capaci. Eppure raccontare diviene per alcuni familiari un dovere e la responsabilità che si assumono nel dare voce alla loro storia sorge da un grandissimo senso di rispetto e fiducia in coloro ai quali la consegnano.

E con rispetto e fiducia vanno ascoltate e custodite le storie di coloro che, come nel caso di Eddie Cosina, hanno portato avanti con consapevolezza e coerenza un lavoro che chiedeva, come lui stesso ben sapeva, la vita. Quella vita viene raccontata a noi dalle parole umili e piene di dignità di Silvia, capace di restituire il senso dell’esistenza di suo zio Eddie Walter Max Cosina, trattenendo l’emozione che non intacca mai la sobrietà del suo racconto. Silvia non è sola, la accompagna sua madre, composta e chiusa in un dolore che, come spesso avviene, non consente di parlare. Questo insegnano le generazioni: se praticata con cura, esattezza e sobrietà, la memoria prende vigore attraverso la consegna a chi è in grado di ascoltarla. Non viene persa o sbiadita nel tempo, ma acquisisce forza nell’appartenere a più vite, tutte quelle che attraversa.

Silvia Stener consegna a noi uditori la storia di suo zio Eddie in occasione di un incontro organizzato questo luglio da Libera. Associazioni nomi e numeri contro le mafie e Avviso Pubblico presso il Bosco dei Cento Passi (qui trovate la sua storia: https://www.confiscatibene.it/riuso/bosco-cento-passi), a Gaggiano. Restituisce il volto a quell’agente della polizia di Stato, specializzato nel servizio di scorta, di cui molti di noi conoscevano solo il nome, come spesso accade per le  vittime delle stragi. Delinea forma e dettagli di un giovane triestino nato in Australia, che non trovava alcuna contraddizione nel mettere la sua vita al servizio del Paese nel capoluogo siciliano tanto lontano dalla sua Muggia, al confine sloveno. Ostinatamente generoso nel candidarsi ad andare a Palermo al posto del collega da poco divenuto padre. Ostinatamente solidale nel dare il cambio, quel 19 luglio, al collega che avrebbe dovuto prendere servizio dopo una lunga nottata di viaggio. Prestare servizio a Palermo in quegli anni, tanto per le forze dell’ordine quanto per i magistrati, significava assumersi il rischio più grande, perché il clima, già dagli anni ‘80, era “libanese”. 

L’incontro organizzato da Libera il 14 luglio 2024 “Ricordando la strage di via D’Amelio nella ricorrenza del 32° anno”, presso il Bosco dei Cento Passi a Gaggiano.

Si dibatte spesso sulla scelta di considerare le vittime di mafia al servizio dello Stato degli eroi. Non è qui che risolveremo la questione, ma le parole spese da Silvia ci aiutano a capire chi era Eddie Cosina e quali profondi valori di giustizia e senso del dovere animavano lui come animano oggi la sua famiglia: << Non era un eroe, stava svolgendo il suo dovere. Non esistono posto e momento sbagliati in cui essere, come mi dicono rispetto al fatto che Eddie si trovasse lì al momento dell’attentato. Non esiste un posto sbagliato perché tutti noi siamo liberi e abbiamo il diritto di essere dove vogliamo. >> Non è forse questa la vera essenza della lotta alla mafia, il riconoscimento di libertà e diritti inalienabili di cui nessuno può privarti o convincerti che abbia il potere di toglierteli ? Eddie Cosina, gli altri agenti e i magistrati uccisi da Cosa Nostra sono morti perché credevano in uno Stato che esisteva per proteggere e garantire tali diritti a tutti.

A noi sono rimaste queste idee, questi esempi e la responsabilità di conoscere le persone che hanno dato la vita per un’Italia che era fatta anche da uomini che, nati a Palermo o a Trieste, erano fatti dello stesso coraggio.

A Silvia e Oriana dobbiamo la gratitudine per aver saputo trasformare in modo così nobile e generoso un dolore tanto grande.
Per Eddie Cosina, l’augurio e l’impegno di far rinascere la vita attraverso parole testimoni e tulipani.

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