È un “work in progress”. Mentre prosegue il processo sui fatti relativi all’inchiesta Mafia – Capitale, in cui si delineano gli oscuri intrecci corruttivi fra politica, amministrazione e criminalità varia, viene proposta una ricerca sullo stato dell’arte in materia di anticorruzione nei comuni italiani.
In vista delle modifiche che avverranno con l’avvento del nuovo anno a livello nazionale, la società “Sistema Susio srl” ha promosso un’analisi dei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione (P.T.P.C.) (qui il link) dei comuni capoluogo di provincia italiani; per comprendere a che livello sia giunta la lotta al cancro corruttivo nelle amministrazioni locali. I comuni sono infatti gli Enti pubblici con cui ancora oggi il cittadino si rapporta con maggiore frequenza e che percepisce in maniera considerevole; ma in cui, come si è visto troppe volte, si riescono ad infiltrare con più facilità le organizzazioni criminali (emblematico, per restare in Lombardia, il caso di Sedriano). È quindi importante che la Pubblica Amministrazione, a partire dai livelli inferiori, si muova in maniera concreta, matura e consapevole per affrontare il problema corruttivo.
Una problematica che non è certamente di recente apparizione sullo scenario nazionale, con scandali risalenti addirittura alla sua fondazione; ma che negli ultimi tempi, con i casi MOSE, EXPO e appunto lo scandalo romano ha riottenuto prepotentemente la ribalta.
La ricerca evidenzia come meno della metà dei comuni presi in esame abbia un P.T.P.C. sufficiente ed accettabile, anche il linea con le direttive promosse dal Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.). Sebbene si possano muovere critiche anche verso quest’ultimo, in cui le indicazioni dovrebbero essere maggiormente semplificate e “declinate avendo riguardo alle realtà degli enti locali di dimensione medio piccola”, gli stessi comuni dovrebbero agire per migliorare alcuni aspetti fondamentali. Ad esempio l’indicazione dei responsabile e delle tempistiche di attuazione delle misure anticorruzione sembra risultare essere particolarmente carente, con un’evidente carenza nella gestione della calendarizzazione delle opere più urgenti da compiere. Allo stesso modo l’applicazione di alcune misure, anche fondamentali come la rotazione del personale operante nelle aree esposte ad un maggior rischio corruttivo, sembra venire meno, sia per problematiche di gestione, sia per problematiche di risorse.
Ciò che però sembra essere la maggior carenza all’interno dei P.T.P.C. è il contatto fra le amministrazioni e la cittadinanza. Difatti sembra che circa solo un comune su tre coinvolga la propria utenza, i propri stakeholders ed i propri cittadini in incontri o “Giornate” sui temi della legalità e della trasparenza. Questo fa venir meno un importante passaggio, ossia la discussione con chi vive direttamente il territorio e ne conosce i suoi aspetti socio – economici più rilevanti. Il mancato coinvolgimento della cittadinanza continua infatti a mantenere fra la gente la percezione che la corruzione sia un fenomeno esteso a tutti e impossibile da affrontare; una corruzione che, come sostiene Alberto Vannucci nell’Atlante della corruzione, “alimenta sfiducia e insoddisfazione verso le istituzioni, delegittima i meccanismi della rappresentanza e i partiti, premia gli imprenditori ammanigliati col potere, scoraggia gli investimenti produttivi, distorce la competizione democratica a vantaggio dei corrotti, rallenta il ricambio della classe dirigente, genera spinte collusive tra partiti ed esponenti politici, cementati dal reciproco potere di ricatto”.
C’è quindi molto da fare e una lunga strada da percorrere, ma se le prassi fossero applicate e i cittadini coinvolti, si potrebbero ottenere risultati importanti e contrastare proficuamente la corruzione, sottraendole così l’humus in cui prospera; poiché, come sostiene don Luigi Ciotti, “in tanti possiamo fare quello che da soli è impossibile”.