Carlo Cosco - Lea Garofalo

L’udienza è finita. Gli avvocati si stanno togliendo le toghe, i giudici cominciano ad alzarsi e il pubblico già si avvia verso l’uscita. Una voce tremante, dal forte accento calabrese si solleva dalla gabbia degli imputati e chiede ai giudici di poter leggere un foglio.

Sono le 14.30 di martedì 9 aprile e nel tribunale di Milano si sta per concludere la prima udienza del processo d’appello per il caso Lea Garofalo, la testimone di giustizia rapita e uccisa nel novembre 2009. A parlare è Carlo Cosco, ex compagno della donna, uomo di ‘ndrangheta e condannato con altri cinque imputati all’ergastolo per il suo omicidio. La presidente della corte, Anna Conforti, invita tutti i presenti a sedersi. Davanti al microfono Cosco comincia così la sua dichiarazione spontanea. «Mi assumo la totale responsabilità per questo omicidio. Chiedo inoltre di poter vedere mia figlia che è sotto protezione. Da chi deve essere protetta? Io adoro mia figlia. Guai a chi la tocca. Io prego di avere un giorno il suo perdono».

La figlia a cui si riferisce è Denise, classe 1991, una ragazza che ora vive sotto protezione per aver testimoniato contro chi ha ucciso sua madre. Anche lei è in aula. Nascosta da un paravento per proteggere la sua identità, Denise ha già dovuto raccontare nel primo processo il clima di terrore in cui viveva con la madre e nelle prossime udienze dovrà testimoniare ancora. Per sostenerla, per farle sapere che non è più sola, ci sono anche molti ragazzi di Libera, alcuni provenienti addirittura da Reggio Emilia. Durante tutta l’udienza sono rimasti fra il pubblico, fianco a fianco con i parenti degli imputati.

Questi sono stati gli ultimi atti di un’udienza iniziata verso le 9.30 con la lettura della sentenza del processo di primo grado, che risale al marzo 2012. Dopo questo atto formale, sono state avanzate le richieste da parte degli avvocati. Il Procuratore Generale Marcello Tatangelo, pubblico ministero alla corte d’Assise, ha richiesto che venga ascoltato come testimone Carmine Venturino. Si tratta di uno dei condannati in primo grado per il processo, che dal luglio 2012 ha cominciato a collaborare con la giustizia.

Venturino segue l’udienza dal carcere e la sua presenza è testimoniata da una telecamera predisposta nella sua cella. L’inquadratura è fissa, l’uomo immobile, e più che un filmato sembra quasi un fermo immagine. Venturino chiede solo una cosa ai giudici. «Vorrei testimoniare in tribunale, non dalla mia cella. Se è possibile, se non ci sono rischi vorrei venire in prima persona a raccontare quello che è successo». Grazie alle informazioni da lui fornite, la magistratura sta ora indagando su un altro uomo coinvolto nell’omicidio, Damian Jancaza, un polacco vicino alla famiglia Cosco.

Sempre il Procuratore Generale richiede l’acquisizione dei sopralluoghi avvenuti dove si è consumato il delitto, fra cui il magazzino di Crivaro, dove sono stati trovati i resti della donna. L’avvocato di Denise Cosco, Enza Rando ha invece chiesto l’acquisizione di due denunce, che provano il furto e l’incendio dell’auto di Lea Garofalo. Avvenuti nel 2002, questi due fatti insieme al tentativo di sequestro verificatosi a Campobasso nel 2009 evidenziano quanto il rapimento della donna sia stato ben meditato e preparato da molto tempo. Gli avvocati che difendono gli imputati hanno invece proclamato ancora una volta la totale innocenza dei loro clienti.

Alla luce di queste informazioni, le dichiarazioni fatte da Carlo Cosco al termine del processo, appaiono tutt’altro che spontanee. Più che un reale pentimento da parte dell’uomo sembra una sottile strategia difensiva che vuole puntare su due ambiti d’azione. In primo luogo c’è il tentativo di assumersi totalmente la colpa del delitto, scagionando così i fratelli Vito e Giuseppe e salvando dall’ergastolo parte della famiglia. L’altra strategia è ancora più subdola. Sembra infatti che Cosco cerchi di rimarcare il suo amore per la figlia, una ragazza che ha privato dell’affetto di sua madre nel tentativo di mostrare il suo lato umano ai giudici. La sua speranza può essere anche quella di far crollare la figlia, portandola a ritirare la sua fondamentale testimonianza.

Intanto la prima udienza è finita. I ragazzi di Libera e i parenti degli imputati sono usciti dall’aula, pronti a ritornare finché ogni dubbio su questa vicenda non sarà sciolto.

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