di Nando dalla Chiesa
Letizia e Francesca. 85 anni la prima, 35 la seconda. E’ stata una settimana fortunata, questa, per i miei incontri con il genere femminile. Letizia fa Battaglia di cognome, è palermitana purosangue, ed è in assoluto una delle più grandi fotografe al mondo, senz’altro la più grande fotografa di mafia. L’ho intervistata il 29 sera per l’Istituto italiano di cultura a Berlino, in un ciclo di conferenze sul fenomeno mafioso che sto curando. Il tema era il rapporto tra cultura e mafia. E visto che a Berlino ottobre è stato il mese della fotografia, e che l’Istituto ha perciò allestito una mostra di Letizia, abbiamo preferito fare, piuttosto che un dibattito, un dialogo-intervista. Io le domande, lei le risposte. Siamo amici, ci conosciamo da quasi quarant’anni. Tutto è stato dunque naturale, a tratti intimo. Temi cari all’uno e all’altro. Ricordi comuni, dolorosi e gioiosi. Be’, vi giuro che Letizia è stata monumentale (andate a vedervela di corsa: https://www.facebook.com/IICBerlino/). Rispondeva, parlava, e sentivo fluire come per magia la storia nobile dell’antimafia. La vita di una giovane fotografa amante della libertà e dell’amore, anche quello per la sua terra, che grazie a una macchinetta, come la chiama lei, dominata dalla sua sensibilità, riesce a catturare quel che agli altri non riesce. E si mette al servizio di una causa senza cercarne emolumenti e onori. Donna in un giornale palermitano di opposizione (“L’Ora”) fatto come tutti i giornali del dopoguerra di soli uomini. Che riesce a dire nell’intervista almeno tre cose che non si dimenticano. La prima è che ha provato pena ed empatia (o un senso di rispetto, non ricordo) per Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina, quando l’ha vista in aeroporto che andava con le sue borse a trovare il marito in un carcere del nord. La seconda è che vuole un bene infinito e ha grandissima gratitudine per Leoluca Orlando per quel che ha fatto per Palermo, qualcosa che molti non ricordano o non capiscono, a partire dalla rottura storica della Democrazia cristiana. La terza è che si sente comunista, che è comunista per l’amore che ha per l’uguaglianza, anche se non ha mai avuto la tessera del Pci. L’ho ammirata per il coraggio della prima e della terza frase. E poi quello che ha detto sulla bellezza e su altre cose…Commovente. Davvero un pezzo da archivio storico.
Ma voglio affiancare a lei Francesca, che di cognome si chiama Grillo, e lavora anche lei nell’informazione. L’ho scoperta su un video speditomi dalla Scuola di formazione Caponnetto, che sembrava uno dei tanti. E invece ho avuto una rivelazione. Francesca è una giornalista precaria del “Giorno”, emblema di una generazione di giornalisti che campano ricevendo 5 o 10 euro al pezzo. Mi ha colpito per la sua limpida forza. Stava davanti a un murale dedicato a Giancarlo Siani, a Buccinasco. E spiegava a una folla radunatasi a semicerchio intorno a lei che cosa fosse la ‘ndrangheta tra quelle case in cui è nata. Raccontava della minaccia rivoltale da Rocco Papalia, che invece di nascondersi all’umanità ancora pretende di comandare e vive come un’ingiustizia che qualcuno ne denunci fatti e misfatti. “Abiti lì” le ha detto indicando casa sua. Ma lei, che è giornalista di razza, non indietreggia e racconta a tutti. Credo che faccia, a buon diritto, le sue amare riflessioni su quei giornalisti con stipendio pieno assicurato per scaldare le poltrone o per inchinarsi agli ordini di direttori mansueti e coccolosi. Per me, vi assicuro, scoprirla è stata una ragione di gioia. Un’altra giovane donna, come tante mie laureande, che si ribella ai boss. Teniamocela stretta, non facciamone l’eroina con la scorta (che non ha), ricordiamo sempre, piuttosto, la frase con cui ha chiuso il suo discorso pubblico. “Voi mi chiedete qual è il rumore della paura? E’ il silenzio”.