di Mattia Maestri
Sei gennaio 1980. Giorno di Epifania. Una famiglia vestita a festa si prepara per andare a Messa. Stanno per entrare in auto quando un killer esplode una raffica di colpi di pistola all’indirizzo dell’uomo seduto al posto di guida.
Si chiama Piersanti Mattarella, Presidente della regione Sicilia. Freddato sotto gli occhi della moglie, dei due figli e della suocera.
Laurea in giurisprudenza, professione avvocato. Lunghe militanze nell’Azione Cattolica e nella Democrazia Cristiana, quando, a partire delle elezioni del 1964, diventa prima consigliere comunale a Palermo e poi deputato regionale ricoprendo le cariche di Assessore al Bilancio e infine di Presidente della regione.
Inaugura un’era innovativa e ricca di speranza, mirata alla modernizzazione delle istituzioni siciliane e alla trasparenza, denunciando comportamenti non consoni al servizio pubblico e in aperto connubio con i clan di Cosa nostra.
Per il suo assassinio sono condannati dalla corte di Cassazione gli esponenti della cosiddetta ‘Cupola’ mafiosa come mandanti del delitto, ma, ad oggi, ancora nulla sappiamo del killer e del suo complice.
Un omicidio che, a quarantuno anni di distanza, è ancora avvolto, per molti aspetti, nell’ombra.
Sei mesi più tardi, però, nel giugno 1980, la Regione Sicilia approva la legge 51/80 a favore delle scuole siciliane per contribuire allo sviluppo di una coscienza civile contro la criminalità mafiosa.
Una legge pionieristica che garantì alle future generazioni una didattica antimafia senza precedenti nella storia d’Italia.