Era la fredda notte del 15 gennaio 2000 quando Željko Ražnatović, noto al mondo intero come Tigre Arkan, scomparve dalla scena criminale balcanica. Ad ucciderlo furono tre proiettili sparati da un ex poliziotto serbo all’interno della reception dell’albergo Intercontinental, un desolato palazzone rettangolare che sorge ancora sulle sponde del Danubio. Il Comandante, così come veniva chiamato dalle sue Tigri (un gruppo paramilitare protagonista delle principali atrocità commesse durante i conflitti degli anni ’90 nella ex Jugoslavia) era riuscito a diventare uno dei più importanti boss di Belgrado. Con il contrabbando di armi e le numerose rapine compiute tra i bar e i ristoranti di tutta Europa aveva guadagnato una ricchezza immensa e una smisurata fama criminale tanto da ottenere il pieno controllo delle attività illecite dell’intera capitale. Ma Arkan e il suo mondo fatto da ex paramilitari imbevuti di un cieco nazionalismo e da pericolosi intrecci tra criminalità, politica e servizi segreti simboleggia solo la vecchia guardia delle organizzazioni mafiose oggi attive in tutti i Balcani. Dopo la sua morte comparvero gruppi criminali ben più forti ed organizzati.
Chi sono allora i nuovi capi della mafia balcanica? Cresciuti con il mercato nero e i taglieggiamenti degli aiuti umanitari che le guerre avevano alimentato, sono i padroni incontrastati delle rotte illecite che dalle montagne balcaniche raggiungono il cuore delle città europee. È soprattutto la droga a costituire il loro maggiore interesse, non solo quella prodotta in Afghanistan che da sempre attraversa la penisola percorrendo la storica Balkan route, ma anche la polvere bianca sudamericana che trasforma i Balcani nei principali centri di stoccaggio e i suoi criminali in formidabili fornitori di cocaina per l’Europa. Non hanno strutture e regole precise ma gruppi flessibili che inseguono soltanto l’odor di profitto. Numerosi sono infatti i capitali sporchi che i gruppi mafiosi riciclano nelle imprese e nelle costruzioni di edifici moderni che spesso tendono a confondersi con la tradizionale architettura locale. Forti sono anche gli appoggi politici che ora come in passato continuano a regalare alla mafia balcanica tanto successo. E a ciò si aggiunge una stretta collaborazione tra tutte le organizzazioni presenti. Non ci sono bandiere di appartenenza quando c’è da concludere un buon affare. E così serbi, bosniaci e kosovari cooperano tra loro.
A rappresentare la figura di nuovo boss della criminalità organizzata dei Balcani è Naser Keljmendi, kosovaro di nascita ma bosniaco di adozione. In breve tempo costruisce un vero e proprio impero diventando il capo mafia di Sarajevo e un pericoloso narcotrafficante. Colleziona amicizie tra le più alte cariche politiche bosniache e acquisisce il controllo di tutte le bande criminali gestendo affari in Montenegro, Albania e Kosovo. A maggio dello scorso anno viene arrestato con l’accusa di omicidio e traffico di droga. Oggi è ancora in carcere a Priština in attesa di un’estradizione per la Bosnia, ma continua indisturbato a controllare le proprie attività.
È questo il volto nuovo della mafia che viene dei Balcani. È meno spaccona di quella degli anni ’90 ma ugualmente pericolosa. È una mafia creatrice e piena di risorse che si avvale dell’elevata corruzione. È una mafia che fa affari con le principali organizzazioni criminali e ricicla i suoi proventi nell’economia legale. Ma soprattutto è una mafia che va conosciuta e combattuta anche qui in Europa perché alla fine i Balcani non sono lontani.