di Monica Forte
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dal Governo alla Commissione europea punta ad offrire al nostro Paese l’opportunità di intervenire in maniera decisiva su questioni e settori da troppo tempo in attesa di riforme importanti e azioni risolutive. Presentato come la grande occasione per l’Italia di fare quel salto in avanti in termini di crescita e adeguamento alle migliori pratiche europee che tutti attendiamo da decenni, per chi si occupa di prevenzione e contrasto alle mafie francamente lascia l’amaro in bocca, una sensazione di disagio, la paura di essersi lasciati sfuggire ancora una volta una irripetibile opportunità.
In Commissione antimafia regionale ci siamo impegnati a cercare nelle 273 pagine del PNRR la parola MAFIA, fiduciosi di trovarla più e più volte in contesti che nel loro insieme potessero essere riconducibili ad una ampia, decisa e puntuale strategia di contrasto o quantomeno di difesa degli ingenti investimenti previsti.
Gli esiti non sono felici né rassicuranti: la parola MAFIA nel PNRR è citata due volte. La prima nella parte “Obiettivi generali e struttura del piano” dove nell’ambito di un generale riferimento alla necessità di combattere la penetrazione mafiosa per favorire lo sviluppo e gli investimenti si àncora tale impegno alle regioni del mezzogiorno. Poco prima di enunciare una generica astratta volontà di valorizzare i beni confiscati, si legge “Gli investimenti destinati al Mezzogiorno non possono prescindere da misure di contrasto alla criminalità e dal coinvolgimento della cittadinanza attiva contro ogni penetrazione mafiosa”.
Devo ammettere che questo riferimento lo trovo inadeguato in un documento così importante. Intanto il richiamo alla cittadinanza attiva in assenza di un impegno strategico del Governo contro le mafie è decisamente inopportuno e poi qui pare che si dimentichi del tutto, o peggio non si conosca affatto, la storia del radicamento delle mafie in tutte le regioni d’Italia e soprattutto nell’economia legale del nord dove gli interessi della criminalità organizzata verso i finanziamenti in arrivo con il Recovery Fund, e dei conseguenti numerosi appalti pubblici, sono non solo prevedibili ma già emersi in indagini della magistratura.
Il secondo cenno lo troviamo nella sezione “Riforme e investimenti” dove però si tratta di un tecnicismo inevitabile in un contesto in cui si affrontano le necessarie verifiche antimafia a carico delle imprese alle quali si affidano lavori pubblici.
Tutto qui! Ammetto insospettatamente deludente perché davvero credevo si cogliesse questa occasione per esplicitare, cristallizzare e progettare un piano di intervento concreto e strategico che, partendo da uno studio approfondito del fenomeno mafioso, potesse finalmente incidere in maniera adeguata ed efficace sul fronte del contrasto alle organizzazioni mafiose.
E invece no, mancano visione e programmazione, ma ancora prima mancano conoscenza e consapevolezza di quanto le mafie incidano sulla nostra società e sull’economia del Paese. E manca la capacità di comprendere come la mafia sia il fenomeno più pericoloso e urgente da affrontare perché trasversale a tutti i settori socio economici mentre contamina tutta la nostra economia legale, perché sottrae ricchezza, perché è una forma di esercizio del potere che mina le fondamenta stesse della nostra democrazia.
L’ennesima occasione mancata.