di Valentina Tatti Tonni
L’Umbria deve stare attenta. Un monito espresso negli anni Novanta e ribadito all’inizio dell’anno giudiziario corrente dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Perugia, Fausto Cardella. L’Umbria è una regione tranquilla ma non è priva di pericoli.
È infatti a partire dagli anni Ottanta che si registra una massiccia presenza di camorristi, ‘ndranghetisti, mafiosi e criminali albanesi; alcuni detenuti nelle carceri di massima sicurezza di Spoleto e Terni dove viene applicato il 41 bis. Un esempio su tutti è l’arrivo a Spoleto negli anni Ottanta del “re” del quartiere palermitano della Kalsa, Tommaso “don Masino” Spadaro (condannato a trent’anni per narcotraffico e mandante dell’omicidio del maresciallo dei Carabinieri Vito Ievolella). Inoltre, nel 1992 la regione capisce di essere stata presa come obiettivo per la gestione del narcotraffico quando viene arrestato Carmelo Caldariera detto “Melo Mezzalingua” del clan catanese dei Cursoti.
Recentemente, invece, è la Direzione Investigativa Antimafia a confermare le preoccupazioni sulla situazione dell’Umbria. Nella sua relazione del primo semestre del 2017 si legge infatti che “sodalizi di ‘ndrangheta hanno mostrato, nel recente passato, una tendenza evolutiva sempre più autonoma. Nell’area di Perugia si è registrata, in particolare, la presenza delle ‘ndrine Giglio, Farao-Marincola, Maesano-Pangallo-Favasuli e Scumaci”. Ancora, dati elaborati da Regione Umbria mostrano come a Perugia e Terni si registri un incremento delle denunce per estorsione, usura, riciclaggio e ricettazione tra il 2007 e il 2016. Mentre all’inizio del 2017 il Consiglio regionale approva all’unanimità la creazione di un Osservatorio della criminalità organizzata, per rispondere a una situazione ben delineata nel 2015 in un rapporto sulla regione dalla Fondazione Caponnetto: “Scelgono l’Umbria sodalizi mafiosi in fuga od in cerca di silenzio per la tranquillità che tale territorio offre e per la facilità nel riciclaggio del denaro sporco. Inoltre, il dramma del terremoto ha permesso ad imprese mafiose provenienti da altre regioni di infiltrarsi nella ricostruzione; (…) il mafioso crea un’impresa apparentemente legale i cui capitali passano attraverso un prestanome, mirando ad avere il controllo di particolari settori: tutti i gruppi presenti si occupano di riciclaggio di denaro sporco, poi i casalesi e i calabresi prendono anche i locali notturni, lo sfruttamento della prostituzione va agli albanesi, ci sono cinesi anche nel commercio, traffico di rifiuti per i camorristi, Cosa nostra e ‘ndrangheta per gli appalti pubblici, alberghi e ambiente qualche cosca italiana-locale”. Inoltre, si segnala che oggi le principali attività investigative della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Perugia si concentrano sul traffico di sostanze stupefacenti, in quanto Perugia è ritenuta dalla stessa Dda “una piazza di spaccio di riferimento importante per il mercato della droga nell’Italia centrale”, nonché per il commercio illecito di sostanze dopanti. In Umbria l’insediamento mafioso in passato è stato favorito anche dal basso controllo delle autorità regionale e persino oggi è facile imbattersi in persone che ne negano l’esistenza. Negli ultimi anni hanno contribuito pure lo spopolamento dell’Appennino e i terremoti del 1997 e del 2016. È noto infatti come la mafia si sia infiltrata nei lavori di ricostruzione post sisma riciclando denaro tramite aziende compiacenti.
Dalla ‘ndrangheta ai clan stranieri
Una presenza importante in Umbria è sicuramente quella della ‘ndrangheta. Lo mostra ad esempio l’operazione “Quarto Passo” del 2014, nella quale i Carabinieri del Ros coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Perugia arrestano 61 persone legate ai clan albanesi e calabresi per usura, truffa, bancarotta fraudolenta ed estorsione, assieme all’aggravante del metodo mafioso. Vengono colpite le famiglie Farao-Marincola e Giglio, balzate di nuovo alle cronache nel gennaio scorso grazie all’operazione “Stige” coordinata dalla Dda di Catanzaro che porta all’arresto di 169 persone in più regioni, compresa l’Umbria. La Direzione Nazionale Antimafia ha anche accertato la presenza nel territorio di Ponte S. Giovanni della cosca dei Farao di Cirò Marina e a Perugia della cosca ‘ndranghetista Giglio. Tra Arezzo e Perugia invece avevano sede legale alcuni gruppi societari che presumibilmente reimpiegavano denaro di provenienza illecita per conto della ‘ndrangheta, mentre altre indagini sulla tratta degli esseri umani e il traffico di rifiuti sono culminate con il sequestro di parte della discarica di Pietramelina. Oltre alla ‘ndrangheta però si stanno espandendo le cosche straniere, in grado di affiliarsi alle organizzazioni italiane e alimentate da un flusso costante di immigrazione clandestina che trova collocazione nei settori della guardiania, dell’edilizia e dell’agricoltura.
Beni confiscati e infiltrazioni mafiose nell’economia
In Umbria non mancano infiltrazioni della criminalità mafiosa nel tessuto economico locale. Nella regione infatti risultano confiscati in via definitiva 106 beni immobili e 6 aziende che si trovano a Perugia, Spoleto, Foligno, Terni, Acquasparta, Massa Martana, Pietralunga. Quest’ultimo terreno è stato confiscato alla famiglia De Stefano e qui da anni l’associazione Libera Umbria organizza campi di volontariato per promuovere forme di legalità. Non mancano anche le infiltrazioni della mafia siciliana, alla quale tra il 2010 e il 2015 sono stati sequestrati conti correnti, terreni e fabbricati in Umbria, in particolare tra Perugia e Spoleto.
Inoltre, è necessario prestare attenzione al settore agroalimentare, che per l’Umbria rappresenta un settore molto sviluppato secondo i dati forniti dal rapporto sulle Agromafie del 2017 di Eurispes e Coldiretti. Vi è infatti il pericolo, seppur ancora limitato, che la sofferenza di alcune produzioni tipiche locali (come ad esempio quelle di cereali, pomodoro, olio) su base socio-economica e climatica possa far crescere i “presupposti di una infiltrazione che esiste già nel territorio ma che finora è stata attiva soprattutto in altri contesti economici”.
Rapporti tra logge massoniche deviate e consorterie mafiose
Nel 2017 la Commissione Parlamentare Antimafia ha analizzato le infiltrazioni della mafia nella massoneria, evidenziando come risalgano già agli anni Settanta e Ottanta. Negli anni Ottanta fu proprio Gaspare Mutolo, ex autista di Totò Riina e poi collaboratore di giustizia, ad affermare che “alcuni uomini d’onore potevano essere stati autorizzati ad entrare in massoneria per avere strade aperte ad un certo livello, per ottenere informazioni preziose provenienti da determinati circuiti”.
In Umbria, un importante esempio di rapporto tra la ‘ndrangheta calabrese e la massoneria umbra risale al 2011. Nell’operazione “Decollo Money” furono arrestate dieci persone legate al clan dei Mancuso a Vibo Valentia, compreso Domenico Macrì, un imprenditore calabrese da tempo residente a Città di Castello ed ex presidente del Lions Club ed esponente del Grande Oriente d’Italia (un’organizzazione massonica). Inoltre, l’operazione – curata dal Gip di Catanzaro Tiziana Macrì – svelò un l’esistenza di uno schema di riciclaggio e reimpiego di denaro proveniente dal narcotraffico che partiva dalla Calabria e arrivava fino alla Repubblica di San Marino passando per l’Umbria.