di Davide Grossi
“Il problema della mafia non è limitato alle regioni del Sud e marginale, la vicenda mafiosa è stata e rimane il principale pericolo per la nostra democrazia”. Con queste parole il magistrato Antonino Di Matteo, ospite del primo incontro di Progetto Legalità 2015 tenutosi a Casatenovo (Lecco), ha evidenziato la prioritaria importanza del contrasto alla mafia.
Prima di trattare il tema mafioso il magistrato siciliano, sollecitato dal mediatore dell’incontro Piero Calabrò, giudice del Tribunale di Lecco, si è soffermato sulla situazione della magistratura italiana. Di Matteo ha ricordato l’importanza dell’autonomia del potere giudiziario, garanzia di libertà per tutti i cittadini. Autonomia in pericolo, secondo Di Matteo, a causa degli attacchi esterni provenienti dalla politica, che con le ultime leggi sta cercando di riformare il ruolo del magistrato, rendendolo sempre di più un burocrate. I pericoli per la magistratura provengono anche dall’interno, dai suoi organi di autogoverno – come il Csm – governati sempre maggiormente da correnti di tipo politico che influenzano il lavoro dei magistrati.
Dopo la parentesi sulla situazione della magistratura italiana, il magistrato siciliano ha esaminato la condizione attuale della mafia. Come sottolineato nel suo ultimo libro Collusi, scritto con Salvo Palazzolo, Cosa Nostra ha da sempre come principale punto di forza quello di saper mantenere i rapporti con il potere, in ogni sua forma. La politica viceversa ha spesso tenuto comportamenti che non costituiscono reato ma corrispondono a una adesione, a un rapporto con la mafia. Questi atteggiamenti in molti casi non comportano conseguenze penali, ma dovrebbero essere sanzionati – secondo Di Matteo – da responsabilità di tipo politico o etico. Tuttavia nel nostro Paese mancano i meccanismi che facciano valere tali responsabilità e, come ricorda il magistrato, il caso Andreotti da questo punto di vista è eclatante. Di Matteo ha chiarito poi che per sconfiggere la mafia occorre fare un salto di qualità nella lotta e recidere i rapporti tra mafia e varie forme di potere.
Cosa Nostra, dopo aver abbandonato la strategia delle stragi, non ha assunto una nuova forma, ma ha accentuato il livello di presenza all’interno delle istituzioni. Sono i crimini dei colletti bianchi, e combatterli è sempre più difficile, perché i mafiosi non appaiono tali. Di Matteo sostiene: “La mafia si manifesta nella capacità di elaborare strategie per intercettare flussi di finanziamenti apparentemente leciti e creare la commistione tra capitali illeciti e apparentemente leciti”.
Come si può affrontare il fenomeno mafioso? Di Matteo evidenzia che il primo passo non deve essere sempre fatto da magistratura e forze dell’ordine. Gli amministratori locali, se accorti, fanno da argine ai comportamenti mafiosi e possono dare una grossa mano a investigatori e magistrati.
Il magistrato siciliano ha lanciato anche un appello forte ai cittadini, invitandoli a non essere indifferenti, perché l’indifferenza di tanta gente è la causa principale dello strapotere mafioso. Tuttavia come ricorda Di Matteo, i cittadini italiani sono sottoposti a un sistema d’informazione che tiene nascosti i veri problemi del nostro paese, senza contare il clima di sfiducia nei confronti della giustizia a causa dell’immunità di certi reati e condotte illecite come la corruzione.
Negli ultimi anni molti magistrati impegnati nella lotta alla mafia si sono recati nelle scuole per insegnare ai nostri ragazzi l’educazione alla legalità, materia sempre più importante per sconfiggere la criminalità organizzata. La lotta alla mafia infatti può vedere lo Stato trionfare, dice Di Matteo, soltanto attraverso una rivoluzione culturale che partirà dal basso, dai giovani e dalle scuole.