Dalle prime infiltrazioni al processo “Quarto passo”

Umbria

Troppo spesso l’Umbria viene descritta come un’isola felice, il cuore verde dell’Italia centrale, tranquilla ed indisturbata, immune da qualsiasi interazione con la criminalità organizzata. Le prime infiltrazioni, risalenti agli anni 70/80 del secolo scorso, disattendono però questa percezione. La presenza del super carcere di massima sicurezza a Spoleto ha comportato l’ingresso di detenuti, soggetti condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso e delle rispettive famiglie, trasferitesi nelle zone circostanti. Ad oggi lo stesso ospita 700 detenuti, di cui 70 al 41 bis.

La notizia di nuove infiltrazioni ci è data da un importante strumento di analisi, “Il covo freddo”, un dossier informativo, elaborato a partire dal 2009 e pubblicato nel 2011, curato dalla Regione Umbria in collaborazione con Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie. Dal Dossier si scopre che nel 1997 numerosi appalti per la ricostruzione delle città colpite dal terremoto furono affidati ad imprese campane e calabresi, con possibili collegamenti con la criminalità organizzata. In questo lavoro si descrive la Regione come un territorio tranquillo, l’humus, l’ambiente ideale in cui possono svolgersi determinate attività economiche-finanziarie illecite, quale il riciclaggio di denaro sporco. Tale tesi viene ripresa e sostenuta anche dall’Onorevole Giuseppe Lumia, componente della Commissione Antimafia Nazionale, nonché da Giacomo Fumo, al tempo procuratore a Perugia.

Oggi, testimonianza palese dell’infiltrazione mafiosa è il bene a Col della Pila nel Comune di Pietralunga (PG). L’investimento era stato realizzato dalla famiglia calabrese De Stefano, per essere utilizzato come “covo freddo”. Negli anni ’80 e nei primi anni ’90, infatti, durante le faide tra cosche, se un affiliato era a rischio vita o di cattura veniva mandato in esilio, per 3 o 6 mesi, fino a che non si calmavano le acque. Si tratta di 100 ettari, 80 boschivi e 20 coltivabili, sequestrati e successivamente confiscati alla ‘ndrangheta nel 2011. Sono stati affidati al Comune di Pietralunga in collaborazione con il Presidio di Libera Alta Valle del Tevere, che dal 2013 organizza lì i campi estivi di volontariato E!State Liberi.

A Ponte San Giovanni, invece, uno dei quartieri più popolosi di Perugia, nel 2011, si sono verificate 16 ordinanze di arresto, che hanno riguardato anche Toscana, Umbria e Marche e sono state accompagnate dal sequestro di beni mobili e immobili per un valore di 100 milioni di euro. L’operazione “Apogeo” ha mostrato che la Camorra ha raggiunto l’Umbria, per riciclare denaro sporco, attraverso società inesistenti, che immettevano nel tessuto economico locale ingenti capitali, pronti per essere reinvestiti. Un clan collegato a quello dei Casalesi che ha inquinato il tessuto umbro e rappresenta oggi solo un altro tassello della progressiva diffusione di una mafia camaleontica che è riuscita ad andare oltre ai confini regionali in cui tradizionalmente è posta.

Recentemente poi un’altra operazione, “Quarto Passo”, contro la ‘ndrangheta calabrese. Molto significativa la quantità dei sequestri: 39 imprese, 108 immobili, 129 autovetture e poi contratti d’assicurazione, rapporti bancari a centinaia. Una vera e propria holding del crimine, con centro sempre a Ponte San Giovanni e ramificazioni in tutta l’Umbria e fuori, nelle zone limitrofe di Marche, Lazio e Toscana. Il centro dell’infiltrazione sembrano essere le attività edilizie con una speciale attenzione a settori d’avanguardia come l’energia fotovoltaica. Un territorio dunque in via di “mafizzazione”, per utilizzare le parole del Gip di Perugia, Alberto Avenoso, nell’ordinanza di custodia cautelare degli indagati nell’operazione. Un’aggressione al territorio che è stata descritta come invisibile e lenta da Walter Cardinali, coordinatore di Libera Umbria. Lo stesso sottolinea anche la rilevanza della presenza a Perugia del Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti, dimostrazione dell’assoluta importanza dell’operazione e di una penetrazione ampia e ramificata della criminalità organizzata nel tessuto economico regionale. Sono comprovate, attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, le relazioni con la casa madre ‘ndranghetista: la cosca Farao-Marincola. I contatti in Umbria sono tenuti dal pregiudicato Natalino Paletta, titolare di una pizzeria a Ponte San Giovani, dove hanno avuto luogo numerose riunioni dell’organizzazione criminale. Sono state verificate e fotografate, infatti, presenze e incontri a Perugia di importanti esponenti della cosca, che aveva la sua base d’origine a Cirò. La ‘ndrangheta si mostra, ancora una volta, unica, una rete in cui tutte le parti sono collegate, anche se la “clonazione umbra” o le altre colonie sparse nel mondo agiscono in relativa autonomia.

Lunedì 11 luglio si è tenuta la prima udienza del processo “Quarto Passo”, in cui Libera e la Regione Umbria hanno annunciato la loro costituzione come parte civile. Questioni procedurali e difetti di notifica hanno però subito fatto rinviare il processo al 28 novembre. Le accuse sono diverse e di vario titolo: associazione a delinquere di stampo mafioso, truffa, furti, traffico di droga, usura, estorsione e ricettazione. Sono imputate 57 persone. Ancora da decidere la composizione del collegio giudicante: Nicla Restivo, destinata al Tribunale di sorveglianza di Spoleto, non sarà la Presidente. Mentre contro il collega Francesco Lochi è stata promossa dalla difesa una istanza di ricusazione, avendo partecipato come uditore giudiziario ad una camera del consiglio del riesame.

Occhi aperti allora e tanta consapevolezza per tenere alto il livello di allerta di una società civile responsabile e far vincere un’economia degli onesti contro il subdolo tentativo di contaminare ed inquinare attività legali, fonte positiva di lavoro e reddito.

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