di Adelia Pantano
La piazzetta di San Domenico è piccola, sembrerebbe che non ci stiano molte persone e invece con l’arrivo di Marco Travaglio sembrava enorme, immensa, non c’è uno spazio libero. Tutti vogliono ascoltarlo.
La terza serata del festival TRAME a Lamezia Terme è stata caratterizzata proprio dall’incontro con il giornalista che non ha peli sulla lingua, che si è ritrovato a rispondere alle domande di un altro giornalista, Gaetano Savatteri, direttore artistico del festival.
Il libro di cui si parla, e che da qualche anno ha portato lo stesso Travaglio nei teatri di tutta Italia, è “E’ Stato la mafia. Tutto quello che non vogliono farci sapere sulla trattativa e sulla resa ai boss delle stragi”. Un romanzo criminale, come lo definisce Savatteri, in cui si narra della trattativa Stato-Mafia, quella di cui molti preferiscono affiancare anche l’aggettivo “presunta”. Ma Travaglio più volte sottolinea con voce ferma e decisa, che non c’è niente di presunto, ma la trattativa c’è stata e non si può nascondere. Anzi la nascondono tutti quegli intellettuali che avrebbero il compito di dire la verità, ma che non lo fanno, che negli ultimi anni sono diventati dei veri e proprio servi.
E Travaglio inizia a raccontare della trattativa, una storia che lui stesso definisce semplice e che il processo che si sta svolgendo a Palermo non serve altro che a stabilire se queste vicende siano reato oppure no e quindi sancire le varie responsabilità degli indagati.
Una storia semplice, appunto. Una trattativa iniziata sei giorni dopo l’attentato di Capaci, tre giorni dopo i funerali di Giovanni Falcone. Da una parte lo Stato e dall’altra la mafia. Due carabinieri si recano, non per loro volontà, dal figlio di Vito Ciancimino per entrare in contatto con i boss porre fine alle stragi in cambio di un addolcimento di quel carcere duro, il 41bis, che Travaglio definisce come “una fabbrica di pentiti”.
Cinquantasette giorni dopo la strage di Via d’Amelio. Paolo Borsellino non era la priorità della mafia, non andava inizialmente eliminato. Lo divenne nel momento in cui scoprì di una trattativa pericolosa e aveva iniziato ad indagare. Subito dopo l’attentato era diventata scomoda anche l’agenda rossa di Borsellino, che venne fatta sparire quando ancora si respirava il fumo dell’esplosione.
Tutta la vicenda è scomoda per essere portata alla luce, soprattutto per quei piani alti del potere. E qui non manca una frecciatina anche alla vicenda che ha visto coinvolto il presidente della Repubblica. “Una persona chiamata a testimoniare ha il dovere di andare, anche se è il capo dello stato”. Ma Napolitano è stato confermato nel suo secondo mandato, e proprio in questa occasione le intercettazioni che lo riguardavano sono state distrutte.
Probabilmente Marco Travaglio ne avrebbe parlato ancora per ore, avrebbe fatto nomi e raccontato vicende che nessuno osa raccontare, ma ha preferito chiedere l’incontro con una frase prima di Pier Paolo Pasolini “Io so, ma non ho le prove” e poi citando e parafrasando Giovanni Falcone “La mafia non è invincibile, è un fatto umano e come tale ha un inizio e avrà una fine. Ma perché da noi no? Perché in Italia non si sa dove finisce la mafia e inizia lo Stato”.