di Chiara Muzzolon

Settembre 2012
Milano

E’ il 23 luglio 1993 e alcuni fatti di estrema violenza segnano la storia di Rio de Janeiro: 8 bambini di strada che dormono sotto i portici intorno alla chiesa della Candelaria vengono uccisi da una squadra della Polizia Militare.
Il 27 luglio 2012, diciannove anni dopo, con Barbara Olivi e Il Sorriso dei miei Bimbi partecipiamo alla terza giornata (23 -25 luglio le precedenti) della “Caminhada em defesa da vida”, corteo in difesa della vita, in memoria della Strage della Candelaria.
Parlando della realtà dei giovani delle favelas è impossibile evitare il discorso dei meninos de rua, i bambini di strada brasiliani che si ritrovano a sniffare colla e a commettere piccoli reati per sopravvivere. Come se non bastasse, anche in questo caso ci ritroviamo a parlare di violenti interventi dei membri della Polizia Militare, gruppi di persone armate che vengono chiamati anche squadroni della morte, proprio per sottolinearne la violenza. Tra il 1985 e il 1995 sono moltissimi i casi di violenza sui bambini di strada, soprattutto nelle grandi città come Rio de Janeiro, San Paolo, Recife e Salvador.
In un articolo del Corriere della Sera del 1996 un uomo racconta della strage della Candelaria. Lui era uno dei poliziotti spediti lì per il massacro. “I killer spesso sono poliziotti assoldati dai negozianti, come spietati giustizieri, per “ripulire” i quartieri dai piccoli senzacasa che sopravvivono nella miseria più totale rubando, facendo l’ elemosina e sniffando colla per lenire i crampi della fame” è quanto si legge nell’articolo del Corriere.
Se si vuole approfondire, un buon film che racconta la storia di uno dei ragazzi sopravvissuti alla strage della Candelaria è Ultima Fermata 174, basato su fatti realmente accaduti a Rio nel 2000, quando il ragazzo, ormai sfinito da una vita di violenza e senza più speranza di uscirne, sequestra l’autobus 174 (oggi cambiato in 158) per quasi 5 ore.
Il film si chiude con una frase emblematica: “Quem não tem nada a perder, não sabe quando parar”, chi non ha niente da perdere, non sa quando smettere.

Nella nostra esperienza in favela abbiamo cercato di ascoltare tante storie, molte delle quali sono arrivate come piccoli sfoghi spontanei. Si stava parlando di viaggi per il Brasile, degli autobus, del turismo, quando questo ragazzino, quindicenne, ci racconta della sua esperienza di viaggio a San Paolo. Aveva 7 anni ed è scappato di casa perché la mamma sbatteva lui e la sorella in strada, si è infilato nel bagagliaio di un autobus e si è fatto tutto il viaggio lì. Un viaggio di circa 450 km, più o meno come Milano-Perugia, incastrato di nascosto tra i bagagli. Ci racconta che lui è scappato di casa tante volte e che tante volte è stato anche catturato e portato in carcere e non per forza per aver commesso piccoli reati, ma anche solo per essersi trovato per strada insieme ad altri bambini, dove faceva il giocoliere ai semafori per raccogliere qualche moneta.
Il nostro portoghese non è perfetto, e mentre racconta gesticola molto per farci capire meglio. “Una delle celle era grande così”, e con il dito disegna una linea immaginaria che va poco oltre lo spazio che occupa il suo corpo, “e c’era una donna che quando piangevamo ci bruciava le mani con un ferro incandescente” e ci mostra i segni.
In Italia non siamo abituati a vedere così tanti bambini di strada, e forse te ne rendi conto quando sei in Brasile. La strada per loro è una scelta forzata, il male minore rispetto a restare in una casa dove ci sono condizioni di povertà estrema o episodi di violenza continui.
Anche se in realtà solo una piccola parte dei bambini di strada finisce per commettere reati, questi ragazzini sono comunque considerati un pericolo per la popolazione e in Brasile c’è stata una vera e propria politica di repressione e di pulizia che ha portato alla nascita di gruppi di sterminio, che sono il risultato dell’assenza di politiche in difesa dei bambini di strada da parte dello Stato e dell’indifferenza da parte della società civile.

Oggi alcuni di quei bambini che hanno avuto esperienza di vita di strada fanno parte del Progetto Giovani e qua hanno la possibilità di riscattarsi e raccontarsi, ed è quello che dicono loro stessi. Come in questo rap scritto dai ragazzi sul quale è stato montato un video durante le ore di Audiovisual.

Queste alcune frasi significative estratte dal testo del rap:

Alô, governo, abra os olhos pra Rocinha: nosso povo guerreiro é alvo de desrespeito, o abandono das famílias sem o pão de cada dia à mercê da violência na maior hipocrisia!”
Ehilá governo, apri gli occhi su Rocinha: il nostro popolo guerriero è oggetto di mancanza di rispetto; abbandonare le famiglie, lasciarle senza pane tutti i giorni e in balia della violenza é la piú grande ipocrisia!

“Estava triste e magoado com muitas situações, mas encontrei minha alegria no Projeto Jovem da Rocinha aprendi a respeitar aprendi a me amar vou cantando esse rap e ninguém vai me parar.”
Ero triste e sofferente per molte situazioni, ma incontrai l’allegria nel Progetto Giovani della Rocinha, imparai a rispettare, imparai ad amare me stesso, canterò questo rap e nessuno mi fermerà.

Dalla favela ad oggi, sono passata per un viaggio di 2300 km per visitare parte della costa Nord-Est del Brasile. Il viaggio si è diviso in tre tappe, percorse tra aerei e autobus: Olinda, Salvador, Arraial D’Ajuda. Tre realtà molto diverse tra loro e a loro volta diverse dalla favela.
A Salvador percepisci un reale senso di abbandono, e anche qua il problema dei meninos de rua, sembra essere molto attuale. Sono tanti i bambini che ti fermano e ti chiedono dei soldi. Un pomeriggio uno di loro ci avvicina e ci chiede di accompagnarlo in un negozio e di comprargli del latte in polvere che avrebbe dato al suo fratellino. Con una buona dose di ingenuità, che ci fa pensare che comprargli del cibo sia meglio che dargli dei soldi che verrebbero poi mal spesi, compriamo un ottimo prodotto per neonati e glielo diamo. Scopriremo in seguito che i bambini rivendono questi prodotti per avere del cash utilizzabile.
E così ti rendi conto di come certi meccanismi siano difficili, quasi impossibili da cambiare.
Il Brasile è un paese immenso, con tantissime realtà che si scontrano tra loro. E’ un paese da vedere e osservare, da esplorare. Ed è difficile da capire.
Ho sempre pensato che la conoscenza e la possibilità di confronto siano i modi migliori per capire. Da qui anche la decisione di esplorare altri luoghi fuori dalla favela Rocinha.
E’ così che si rientra a Milano, con delle conoscenze in più, una ricchezza e una possibilità di condivisione e confronto che ti portano inevitabilmente ad osservare in modo diverso la tua realtà. Come se ogni viaggio fosse un tassello in più verso la conoscenza non solo del mondo, ma anche di se stessi, con quella consapevolezza che a volte ti dà la spinta a voler migliorare la realtà a cui appartieni.
E’ così che si rientra a Milano.

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