Cercare di fare chiarezza all’interno dell’universo della criminalità messicana è ormai un’impresa a dir poco ardua. La narco-guerra che sta sconvolgendo il Messico dalla presidenza Calderon (2006), non sembra lasciare tregua al popolo messicano e le politiche dei passati governi (militarizzazione delle zone a rischio, uccisioni e arresti dei principali narcotrafficanti) hanno portato alla conseguente frammentazione del panorama sociale e criminale. Se provassimo ad immaginare il paese come l’unica nazione di una grande partita di Risiko, ogni singolo stato messicano sarebbe invaso da carrarmati di ogni colore che a correnti alterne si sfidano per il controllo del territorio. Come il celebre gioco di strategia da tavolo, dove sul campo guerreggiano al massimo sei squadre a cui corrispondono sei colori differenti (giallo, rosso, verde, blu, viola e nero), in alcuni stati messicani una moltitudine di attori lottano per dominare le rotte del narcotraffico, il controllo delle municipalità, la gestione della giustizia ed il monopolio della violenza. Il primo attore da analizzare, che teoricamente dovrebbe avere di per sè il dominio su ogni singolo centimetro del gioco, è lo stato messicano. In realtà risulta essere la pedina più debole di tutto lo scacchiere. Soffocato dalla corruzione e dalla saldatura politico-criminale che attanaglia una parte delle sue strutture, lo stato sembra rimanere lontano anni luce dal ristabilire l’ordine nel paese. Anzi, in molte aree ha completamente perso la sua legittimità. Gli sforzi per costruire politiche migliori e più efficaci non mancano (riforma della giustizia, più attenzione ai diritti umani, collaborazione su più livelli con gli Stati Uniti, concentrazione del budget federale verso le aree a più alta presenza criminale) anche se non risultano essere sufficienti per dare respiro al popolo messicano. L’indice degli omicidi si è ridotto da quando Calderon ha lasciato la presidenza nel 2012, ma è anche vero che durante il governo di Peña Nieto è enormemente salito il livello di sequestri ed estorsioni, lasciando trasparire un panorama ancora più complesso ed intricato. L’arresto di molti narcotrafficanti di spessore ha mozzato la testa ad alcune entità criminali che però hanno saputo reinventarsi e sopravvivere. È proprio in questo senso che dobbiamo introdurre altre due squadre nel nostro gioco: i grandi cartelli della droga e la moltitudine di piccoli cartelli e gangs ad essi affiliati o indipendenti. Gli ultimi dati riportati dal Procuratore Generale parlano di 9 cartelli di un certo rilievo e di 43 gangs presenti. A fronte di due cartelli che operano praticamente senza affiliati esterni (Caballeros Templarios e il Cartel de Jalisco Nueva Generation) altri 7 cartelli fanno affidamento su una pletora di gangs. I due cartelli più potenti ed internazionalmente più influenti sono il cartello di Sinaloa ed i Los Zetas, i quali hanno l’esigenza di cooptare una serie di gruppi minori per poter mantenere il controllo del territorio. Sono nove le gang affiliate ai Los Zetas (Sangre Zeta, Grupo Operativo Zeta, Comando Zeta, El Circulo/El Extranjero, Unidad Zetas, Nectar Lima, Grupo Delta Zetas, Los Negros, Special Forces the Zetas) mentre sono otto per Sinaloa (Gente Nueva, Los Cabrera, La Barredora, Cartel del Poniente/La Laguna, El Aguiles, El Tigre, Los Artistas Asesinas, Los Mexicles). Non da meno sono il numero di alleanze dei cartelli di medio rango: il cartello del Golfo conta addirittura dodici gangs; quello che resta della Familia Michoacana ne conta due, così come il cartello di Juarez; i Beltran Leyva sette ed infine il cartello di Tijuana risulta cooptare 3 gangs. Si può immaginare dunque come sia complicata la panoramica criminale del paese, a cui si devono aggiungere gruppi che operano negli Stati Uniti, spesso all’interno delle prigioni di massima sicurezza (ad esempio il Barrio Azteca/Los Aztecas gestisce i traffici nelle carceri texane). Questa frammentazione ha portato una certa saturazione per quanto riguarda i traffici di stupefacenti, motivo per cui molti gruppi criminali hanno cercato di differenziare le proprie attività: estorsioni, rapimenti, sequestri, rapine, riciclaggio, traffico di esseri umani, di organi e di armi, sono business che la criminalità organizzata ha fatto proprie ormai da tempo. Un’attività particolarmente lucrativa ed in forte crescita, che conferma il fenomeno della differenziazione, è il furto di petrolio. Il Messico è uno dei principali produttori di oro nero (il primo importatore per gli Stati Uniti), il cui monopolio è detenuto dalla PEMEX, l’azienda statale che ne gestisce l’estrazione ed il commercio. Proprio l’azienda di stato ha diffuso dei dati allarmanti, che dimostrano l’importanza di questo business per i cartelli della droga (in particolare i Los Zetas ed il Golfo): nel 2014 PEMEX ha stimato una perdita di 7.5 milioni di barili per un valore di circa un miliardo di dollari, rilevando in tutto il paese l’esistenza di 2,481 rubinetti illegali.
A rendere ancora più complicata la nostra partita di Risiko occorre introdurre il quarto giocatore: le forze di autodifesa o vigilantes. Nati per contrastare la presenza dei Caballeros Templarios nel Michoacan, le autodefensas stanno crescendo in molte aree del paese e rappresentano in pieno il senso di frustrazione e sfiducia di molti cittadini nei confronti dello stato. I gruppi di autodifesa hanno una lunga tradizione in Messico: in passato erano più che altro ronde cittadine cooptate legalmente con la polizia locale con compiti limitati per fronteggiare la microcriminalità in alcune aree indigene del paese. Oggi, la perdita del monopolio della violenza da parte dello stato in diverse regioni ha spinto molti cittadini comuni, artigiani, agricoltori e professionisti ad imbracciare le armi e difendere la popolazione dalle attività dei cartelli. Tuttavia il governo non sembra particolarmente incline a stare dalla parte delle autodefensas.
Inizialmente, il presidente Peña Nieto, è apparso minimizzare i problemi di sicurezza in Michoacán. Solo nel novembre 2013 ha iniziato a muovere la Polizia Federale e alcuni funzionari militari per prendere il controllo del porto di Lázaro Cárdenas sottraendolo alla polizia municipale. Quando a metà gennaio 2014 i conflitti tra le forze di autodifesa e i Caballeros Templarios erano ormai scoppiati, il presidente ha inviato Alfredo Castillo, con l’obiettivo di coordinare gli sforzi federali per conto del Ministero dell’Interno. Tradotto, voleva dire l’invio di 10.000 soldati della polizia federale e dell’esercito oltre allo stanziamento di circa 3.4 miliardi di dollari. Un accordo tra le autorità governative e le milizie cittadine aveva stabilito il riconoscimento dei gruppi come “Corpi della Difesa Rurale”. La collaborazione si rivelò fruttifera, tanto che portò all’arresto di alcuni leader dei Caballeros Templarios. Tuttavia ad oggi, Il governo si sta muovendo verso una decisa delegittimazione delle forze di autodifesa. I sospetti che gravano su molti membri accusati di essere in contatto con il cartello di Jalisco Nueva Generation (avverso ai Templari), l’arresto di numerosi membri delle autodifese (tra cui uno dei fondatori, Hipolito Mora, e quella del leader Manuel Mireles) e l’invito a deporre le armi da parte del governo sembrano infatti confermare questa tendenza.
Il quinto attore da prendere in considerazione è il popolo messicano, che riveste i panni di quel giocatore che pur provando a partecipare, perde sempre. Perde quando la giustizia non riesce a funzionare, quando è vittima della violenza dei cartelli, quando la polizia corrotta preferisce stare dalla parte dei cattivi. Perde anche e soprattutto quando vede morire i propri diritti fondamentali, diritti che i loro rappresentanti non sanno garantirgli. La solitudine di questo popolo è riflessa nell’ultimo episodio di violenza ad Ayotzinapa, nello stato di Guerrero. La modalità con cui sono spariti nel nulla 43 studenti della scuola Normale della città dimostra la saldatura politico-criminale che governa in molte zone del Messico. La sera del 26 settembre un commando di poliziotti corrotti insieme ad alcuni membri del cartello dei Guerreros Unidos (affiliati al più potente cartello dei Beltran Leyva) assaltano tre pullman occupati pacificamente dai ragazzi della Normale. Quella sera volevano semplicemente raccogliere fondi per partecipare al tradizionale corteo del 2 ottobre a Città del Messico in ricordo della strage di stato del 1968, quando l’esercito uccise oltre 300 studenti e manifestanti in Plaza Tlatelolco. I poliziotti che aprono il fuoco sono gli uomini del sindaco José Luis Abarca Velázquez e del direttore della polizia locale Felipe Flores, entrambi latitanti da più di una settimana. Non contento il commando prima uccide tre studenti sul posto, ne carica 43 sulle proprie camionette e poi successivamente assaltano un altro pullman di calciatori sulla via del ritorno, pensando sia il mezzo con cui altri studenti tornavano a casa, lasciando 3 morti sulla strada. Tra il 4 e il 5 ottobre a pochi chilometri dall’assalto, ad Aguala, vengono scoperte 6 fosse comuni con 28 corpi martoriati, probabilmente una parte degli studenti desaparecidos. L’unica domanda da porsi è : perché questi studenti? Perché narcos e polizia corrotta compiono una strage per ordine della politica? La risposta affonda le radici nel passato. Le scuole Normali messicani nacquero negli anni ’20 e furono incoraggiate nel decennio successivo dal presidente Lazaro Cardenas in quel progetto di educazione socialista che mirava ad istruire le classi povere e rurali del paese affinché potessero difendersi dai soprusi dei latifondisti e dei politici locali, secondo un chiaro progetto politico-educativo di emancipazione e ribellione allo status quo. Già durante i governi neoliberisti di Miguel De la Madrid (1982-1988) e Carlos Salinas De Gortari (1988-1994) si è cercato di minacciare questo sistema scolastico, considerato dal potere federale anacronistico, scomodo e improduttivo. Con metodi legali o meno poco importa. Quello che veramente importa è che politica, crimine organizzato e polizia corrotta formano una triangolo più solido che mai e che l’opinione pubblica mondiale, il nostro sesto e ultimo giocatore, sembra non farci caso. Come in questo caso i giornali italiani (molto pochi per altro) si svegliano quando ci sono di mezzo le parole massacro, mattanza, carneficina. Il mondo trema di fronte alle teste mozzate dell’Isis ma probabilmente pochi sono coscienti che in Messico questa pratica risulta essere una delle modalità comunicative preferite dai cartelli della droga da molti anni a questa parte.
Come gli appassionati sanno, le partite di Risiko, spesso lunghe ed estenuanti possono durare fino a notte fonda. Una notte che prima o poi bisogna lasciarsi alle spalle, perché il Messico conquistato dalle pedine sbagliate potrebbe essere una sconfitta per tutti.