Milano. Città di resistenza. Milano gigante, caotica, Milano casa d’accoglienza. Milano sveglia in bianco, quando la nebbia offusca la luce. Milano multietnica, città aperta, Milano obbediente. Milano multi-reddito, c’è chi ha tutto e chi niente. Milano terra di conquista, Milano dei clan, con la coppola in bella vista. Ma “la mafia a Milano non esiste” esclama il prefetto. Ma come, non si sente l’elicottero sopra il tetto? Maxi operazione congiunta delle procure di Reggio Calabria e Milano, centinaia di arresti. Operazione Crimine-Infinito. Cambia tutto. Si sgretola la falsa certezza di essere immuni. Tramonta l’idea della Brianza produttiva e modello economico da imitare. All’improvviso il nemico è in casa, entrato decenni prima senza fare troppo rumore. Nemmeno con i sequestri di persona e la droga ci si è resi conto che eravamo accerchiati, soffocati. Eppure ci toccavano da vicino. Erano i nostri parenti che venivano prelevati e trasportati in posti bui, stretti. In prigioni per mesi, in due metri quadrati dove non erano in grado di stendere tutti gli arti.

Ma noi negavamo. Come si può dire che Buccinasco è la Platì del nord? Come possiamo affermare che la mafia è in mezzo noi? Siamo impazziti? La mafia è roba dei terroni. L’hanno creata loro e se la devono pure tenere. Il pensiero dominante impediva che il nome del proprio comune venisse “sporcato” da queste maldicenze. “Magari ci sarà qualche mafioso, ma sicuramente sono innocui, non controllano un bel niente!”.

2010. Boom. Cade un muro invisibile, ma pressante. Si ricordano anche operazioni di polizia degli anni Novanta. “Ah, ma quindi, nel ’93… non ci andarono poi così lontano…”. Già. Proprio così. “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, dicono. Fortunatamente, Milano, è città di resistenza. È composta da anticorpi essenziali per la sopravvivenza della società civile.

Anticorpi? Semplicemente persone. Uomini e donne. Coloro che non vogliono delegare ad altri qualcosa che potrebbero fare loro stessi. Ragazzi e ragazze. Adulti e anziani. Giornalisti, magistrati, imprenditori e professori. Un professore in particolare decide che sia arrivato il momento di provare a ribaltare il ragionamento: la mafia è presente anche qui, inquina la società, la politica e l’economia. Come si può pensare di insegnare la politica e l’economia, senza parlare di mafia? Come è possibile tralasciare una variabile criminale esistente nello studio accademico della società? Dunque, un corso universitario di Sociologia della criminalità organizzata. Una vera scommessa. Oggi, a posteriori, possiamo affermare con gioia che è “una scommessa vinta”. Gli studenti occupano anche le scale, perché i posti a sedere sono terminati. Si percepisce nell’aria una sete di sapere senza precedenti. Si odora il profumo del silenzio attento e si ascolta il suono della storia. Anzi, questo nuovo insegnamento diventa la storia di tanti. E il “padre di una buona idea”, come direbbe Niccolò Fabi, diventa la guida di un nuovo orizzonte, lontano ma perfettamente raggiungibile.

Nascono associazioni universitarie. Nascono nuovi corsi, nuovi laboratori. Nasce un Osservatorio di ricerca. Nascono amicizie e amori. Nasce un gruppo. Nasce un movimento. Un’onda inarrestabile che coinvolge costantemente nuove persone e nuove storie. Nasce l’antimafia in movimento. Non quella dell’evento spot intrigante, senza possibilità di replay. Non quella che “l’ora della legalità bisogna farla perché ce lo chiedono”. Non quella colta e fredda. Non quella emotiva e scostante. Ma antimafia in movimento e creazione di un cammino. Antimafia che studia, analizza e riflette: “conoscere per saper riconoscere”. Il bagaglio culturale che si anima nei movimenti sociali, nelle manifestazioni di piazza, nelle petizioni, nelle battaglie. L’educazione ricevuta che diventa modello educativo. L’allievo che diventa maestro, cercando di spezzare i fili della cultura mafiosa, che si nutre del succo del nostro midollo, senza che noi ce ne rendiamo conto.

E infine le scuole. Quel contenitore sociale che scriverà per sempre le storie dei Paesi. La scuola come luogo di educazione antimafiosa. La scuola come baricentro del sapere laico, civico e civile. La scuola come strumento vincente, al novantesimo con un gol meraviglioso alla squadra più vigliacca e violenta di sempre. La cosa bella che ti capita quando vai nelle scuole a parlare di antimafia e legalità, è osservare gli occhi degli studenti. Loro ascoltano, recepiscono. E non vinci solo quando sono interessati e fanno domande. Vinci anche quando stimoli i loro dubbi, le loro paure. Perché dietro la corazza da duri, hanno un animo fragile, che va studiato, capito. Ma soprattutto ascoltato. A volte basta una scintilla, una parola. Un nome. Un numero. Una storia. A volte non serve dire chi siamo, cosa facciamo. Basta spiegare il perché, lo facciamo. A volte, invece, necessitano di rassicurazioni, di input positivi. E quando parli di antimafia, parli anche di Uguaglianza, di Coraggio, di Lavoro. E di Diritti. Umani, Universali, Politici e Civili.

Eccola. L’antimafia in movimento.

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