Anche a Milano, Anna. “Giardino Anna Stepanovna Politkovskaja, giornalista, 1958-2006”. Questo si legge sulla targa che domina i giardini collocati in fondo a Corso Como, a due passi dallo snodo di turisti, pendolari e cittadini, quale è la stazione di Porta Garibaldi. È passato più di un anno da quel febbraio 2012, mese nel quale il consiglio comunale ha accolto e approvato all’unanmità la richiesta di ricordare Anna Politkovskaja in città, grazie al successo avuto dalla raccolta firme indetta dall’associazione Annaviva e dal suo fondatore, il giornalista RAI Andrea Riscassi. Molto tempo si è perso tra burocrazia e ricerca dello spazio, ma alla fine possiamo dire, con orgoglio, che da ieri, 12 giugno 2013, la città di Milano ha un luogo che ricordi il lavoro, l’impegno civile e il coraggio di una grandissima donna.
Il lavoro di una giornalista russa, impegnata dall’inizio degli anni novanta a raccontare fatti ed orrori come la guerra in Cecenia. Scriveva per il giornale di opposizione Novaja Gazeta e raccontava tutto Anna, tutto quello che vedeva e sentiva. Consapevole che i suoi scritti contrastavano con le versioni delle fonti ufficiali e degli organi di stampa filogovernativi, decise di non fermarsi, di non guardare da un’altra parte oppure facendo finta che tutto quello che osservava in prima persona non accadesse. “Il compito di un dottore è guarire i pazienti, il compito di un cantante è cantare. L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”, ripeteva spesso Anna, affermando la pretesa di dignità del suo lavoro contro i bavagli del governo. Sentiva il dovere e l’obbligo morale di raccontare tutte le nefandezze, le violenze e i soprusi che la polizia federale e i militari russi stavano compiendo in quella terra, molto spesso dimenticata. E non esitava un istante a denunciare i responsabili, che lei individuava nel governo federale, in particolare in quell’uomo dallo sguardo di ghiaccio, Vladimir Putin. “Anna prestava la sua voce ai deboli, a chi non si sentiva rappresentato – spiega Vitalij Jaroshevskij, vicedirettore di Novaja Gazeta – In redazione venivano a chiederle aiuto le donne che cercavano i propri figli, scomparsi improvvisamente durante la guerra nel nord del Caucaso; i figli rimasti senza padre; i padri che avevano perso la famiglia intera. Da quando Anna è morta, anche queste persone sono scomparse”.
E non fu solo una giornalista. Ma anche attivista per i diritti umani e protagonista sul campo. Nel 1999, nel pieno della guerra cecena, fu lei ad organizzare l’evacuazione dell’ospizio di Grozny, salvando 89 anziani dai bombardamenti. E fu sempre lei, nell’ottobre 2002, a tentare di fare da mediatrice durante l’assalto al teatro Dubrovka di Mosca ad opera di cinquanta terroristi ceceni; tentativo vanificato dall’irruzione delle forze speciali russe che si concluse con l’uccisione di 129 persone. Un’eccellente cronista, dunque, e una cittadina consapevole, dotata di spiccato senso critico. Ma anche una donna, madre di due figli. “Prima di essere una giornalista, Anna era mia sorella, era una donna e una madre bravissima” spiega Elena Kudimova all’Urban Center di Milano, affollato per l’inaugurazione dei giardini dedicati ad Anna.
Ma non tutti in Russia la pensavano allo stesso modo. Il 7 ottobre 2006, giorno del compleanno dell’attuale presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, Anna Politkovskaja venne assassinata nell’androne dell’appartamento in cui viveva. Dopo l’arresto in Cecenia nel 2001 ad opera di militari russi e il tentato avvelenamento nel 2004 mentre si stava dirigendo verso l’Ossezia del Nord (nel quale stava avendo luogo, nei primi tre giorni di settembre, il sequestro di 1200 persone nella scuola di Beslan), alcuni proiettili sancirono la fine tragica della sua lodevole esistenza. Ad oggi non si conoscono ancora i nomi dei mandanti di tale delitto. “Non credo che vedremo presto alla sbarra degli imputati i mandanti dell’omicidio di mia mamma. Sicuramente non sotto questo governo – commenta il figlio Il’ja Politkovskij, anch’egli presente all’inaugurazione – Ma io lo spero. Lo spero ancora”. Si può soltanto dare una risposta certa al perché Anna sia stata uccisa. Le parole, siano esse scritte o urlate, hanno una forza straordinaria, più di qualsiasi arma. Pesano come macigni. E questo vale anche per i potenti, che spesso si sentono colpiti al cuore. E le parole sono indelebili. Come quella targa, baciata dal sole, che ricorderà Anna per sempre.