di Giulia Zuddas

È in corso la settimana dedicata a “Giustizia, legalità e diritti” in ricordo di Guido Galli, il magistrato che venne ucciso il 19 marzo del 1990 da un gruppo armato di estrema sinistra. L’Università degli Studi di Milano, grazie al comitato scientifico composto da Marilisa D’Amico, Nando dalla Chiesa e Gianluigi Gatta, ha organizzato otto incontri, cominciati martedì 12 e che termineranno martedì 19 marzo.

Questo pomeriggio il rettore Elio Franzini, il professor Fabio Basile, docente di Strategie di contrasto della criminalità organizzata e percorsi di legalità, e il professore Nando dalla Chiesa, docente di Sociologia della criminalità organizzata e direttore del Cross, hanno dato il benvenuto in un’aula gremita di studenti a Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, e a Michele Prestipino, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale Antimafia di Roma. Entrambi i magistrati collaborano con i ricercatori del dottorato in Studi sulla criminalità organizzata, unico dottorato nazionale che studia la materia.

Come ha spiegato il professor Basile, Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino hanno affrontato perlopiù lo stesso percorso lavorativo: dopo diversi anni alla procura di Palermo, nel 2008 sono stati entrambi trasferiti a Reggio Calabria, e successivamente -Pignatone nel 2012 e Prestipino nel 2013- a Roma. E insieme -grazie anche all’esperienza lavorativa associata- hanno scritto “Modelli criminali. Mafie di ieri e di oggi” (Edizioni Laterza), libro nel quale ricostruiscono il ruolo delle mafie storiche, fino ad arrivare alle organizzazioni criminali autoctone che praticano il metodo mafioso nelle regioni del Centro e del Nord Italia.

«Le mafie – spiega Pignatone, riferendosi in particolar modo a quelle tradizionali, cioè quella siciliana e calabrese, perché sono state quelle sulle quali hanno più a lungo lavorato – esistono da circa duecento anni, più o meno dall’Unità d’Italia ma anche prima. Quindi sono dei fenomeni storici che hanno la loro vita, che si sviluppa per periodi così lunghi, e si dilatano nello spazio». Accade spesso però che «la visione degli organi di stampa e dei processi è una visione puntiforme, come se si facesse una fotografia. La fotografia permette di vedere il particolare però per certi versi inganna perché immortala in quel momento una situazione, e invece la situazione degli organismi viventi -le mafie sono organismi viventi- cambia con il tempo, con gli uomini e con i riferimenti geografici». Pignatone e Prestipino hanno, nella prima parte del libro, riflettuto sul mutamento degli equilibri tra ‘ndrangheta calabrese e mafia siciliana dalla fine degli anni Settanta in poi. Questo «perch – continua Pignatone – se invece di vedere la fotografia vediamo il film, ci accorgiamo di tante cose, e cioè che sappiamo moltissimo della mafia siciliana ma non sappiamo quasi niente, nonostante tutto, di quello che è stata ed è la mafia calabrese».

Secondo il principio che il vuoto in natura non esiste, secondo Pignatone, il vuoto lasciato da cosa nostra siciliana è stato ricoperto, in un certo modo, dalla ‘ndrangheta.

Michele Prestipino si è poi soffermato sul ruolo di Roma, città che offre molte opportunità economiche, opportunità di investimento, e nella quale sono presenti sia pezzi di mafie tradizionali sia organizzazioni criminali autoctone.

«Anche dove non parliamo di organizzazioni di tipo mafioso – ha spiegato Prestipino – c’è una fortissima espansione dell’utilizzo del metodo mafioso. Non siamo più nel campo di applicazione del 416 bis ma siamo nel campo di applicazione di quello che oggi si chiama articolo 416 bis punto 1, cioè l’aggravante mafiosa. Perché molte di queste organizzazioni criminali, che hanno avuto contatti con le mafie tradizionali, e che non diventano associazioni mafiose, e probabilmente non hanno neanche interesse a diventarlo, hanno cominciato a capire che se praticano il metodo mafioso hanno tutto da guadagnare. E noi negli ultimi anni abbiamo assistito alla reiterazione di comportamenti che sono la più eclatante testimonianza di questa espansione del metodo mafioso».

 

 

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