di Giorgia Venturini

Durante i quattro giorni di lavori che hanno portato i 190 Paesi, firmatari della Convenzione Onu di Palermo del 2000, ad approvare a Vienna all’unanimità la “Risoluzione Falcone” sul contrasto alla criminalità organizzata transnazionale, non sono mancati gli interventi dei protagonisti della lotta alla mafia in Italia. Tra questi anche il professore di Sociologia della criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano Nando dalla Chiesa, chiamato a intervenire per spiegare il ruolo dell’educazione alla legalità nella lotta alla mafia transnazionale. “Mi è stato richiesto di indicare il ruolo dell’istruzione nel plasmare la futura generazione di leader mondiali a sostegno della Convenzione di Palermo. Rispondo così: dipende. Dipende dai metodi di insegnamento, dal clima morale in cui viene gestita l’educazione, dalla convinzione delle classi dirigenti sull’importanza primaria dell’educazione come componente del capitale sociale del proprio Paese. Qualcuno potrebbe dirmi: sta dicendo che l’istruzione della futura classe dirigente dipende dall’educazione dell’attuale classe dirigente? Sì e no. Certo è più probabile costruire una buona educazione alla legalità nei territori in cui è già ben presente, ma a volte capita esattamente l’opposto: una buona educazione può fiorire all’improvviso come movimento rivoluzionario quando una determinata classe dirigente non pratica affatto la legalità e al contrario la offende sistematicamente”. In altre parole: “L’educazione alla legalità è, dunque, la risorsa a cui dobbiamo aggrapparci in assenza di potere politico credibile. Esattamente come nei territori del Sud Italia, nelle città di Palermo o Napoli. Ma buona educazione può nascere anche in queste situazioni. Dobbiamo saperlo e ricordarlo”.

Più cooperazione in tema di educazione alla legalità – E poi il professore ai 190 Paesi chiede una collaborazione globale.  “Sappiamo bene che oggi i futuri leader politici durante le loro esperienza e il loro percorso di studi non sempre si confrontano con una forte educazione alla legalità. E invece proprio su questo dovrebbe puntare anche la Convenzione di Palermo: ovvero sulla necessità di creare un’ampia cooperazione culturale ed educativa, oltre a quella giudiziaria o investigativa. Un impegno globale fondato più sulla testa e sul cuore che sulle regole scritte”. E questo impegno globale per il professore dalla Chiesa non può non iniziare nel mondo scolastico. “Anche se la classe dirigente afferma che non ci siano problemi di legalità, di criminalità organizzata, di mancanza di etica pubblica, i giovani capiscono la realtà e vogliono cambiarla. E questo, grazie al mio lavoro, lo vedo anche nelle università. Anche se per molto tempo l’educazione alla legalità è stata praticata molto nelle scuole, e meno sui banchi universitari”. E poi il professore aggiunge: “Eppure l’università è per eccellenza il luogo dove si formano i futuri professionisti: medici, avvocati, magistrati, dirigenti, giornalisti, politici, nonché i futuri dirigenti appunto. L’università è il ponte ideale tra l’età dei sogni e l’età del successo”. Non basta, dunque, contrastare la criminalità organizzata sul piano investigativo se non si porta avanti un lavoro parallelo anche sul fronte dell’educazione: “L’obiettivo principale oggi è costruire un grande movimento di legalità nel mondo. Un movimento intelligente, colto e combattivo. Perché questo non è il momento per la retorica”, conclude Nando dalla Chiesa.   

Per il professore Ponti il mondo accademico è un aiuto concreto per i governi – A Vienna è intervenuto in video conferenza anche il professore Christian Ponti, coordinatore del corso di Scenari internazionali della criminalità organizzata all’Università degli studi di Milano e membro dell’associazione di Stampo Antimafioso: “A nome del centro di ricerca con sede presso l’Università degli Studi di Milano (Cross), vorrei condividere con voi alcune osservazioni sulle rinnovate opportunità del mondo accademico nel processo di attuazione del Protocollo sulle armi da fuoco (FP) dopo l’istituzione del meccanismo di riesame (RM)”. Per il professore proprio il meccanismo di riesame è il punto di svolta perché conferisce al mondo accademico, così come a organizzazioni non governative e anche nel settore privato, un ruolo formale nel processo. E ci sono altri spunti interessanti: “Innanzitutto, nella fase di consultazione, gli Stati sono incoraggiati a consultarsi con il mondo accademico per soddisfare nella compilazione dei questionari di autovalutazione. Proprio in questa fase gli accademici hanno l’opportunità di contribuire e fare pressioni ai governi per fornire informazioni che aiuteranno a colmare le lacune degli ordinamenti nazionali”. Non solo, “secondo le regole che istituiscono il meccanismo di revisione, il mondo accademico può essere indispensabile anche nella fase di valutazione, partecipando ai cosiddetti dialoghi costruttivi con i governi. I lavori di ricerca scientifica potrebbero effettivamente influenzare positivamente le politiche e i processi legislativi interni”. Poi Ponti entra nel dettaglio nella lotta contro il traffico illecito di armi da fuoco. Certo è che “questo mercato illecito richiede un approccio olistico e strategie di contrasto globali. Un ampio numero di Stati della comunità internazionale sono ancora ancorati al vecchio paradigma secondo cui qualsiasi regolamentazione internazionale delle armi da fuoco e di altre armi convenzionali potrebbe ostacolare la loro attività legale nella produzione e nel commercio di armi lecite. L’esercizio di monitoraggio, che il meccanismo di revisione intraprenderà nei prossimi anni, è un’opportunità straordinaria per ribaltare questa errata percezione dogmatica”. Questa la soluzione per il professore Ponti per ridurre la violenza legata a questo mercato, così come per preservare la pace e la sicurezza umana e rafforzare lo Stato di diritto.

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