narcotraffico argentina

Il 10 dicembre del 2014 la Policia de Seguridad Aeroportual (PSA) argentina ha sequestrato circa 235 kg di cocaina e arrestato i membri di un gruppo criminale che trafficava droga in Sud America e Europa: una vera e propria multinacional narco, secondo le fonti giornalistiche argentine. Le indagini, durate due anni, hanno visto coinvolti cittadini argentini, boliviani, peruviani e paraguaiani; mentre i camellos, cioè coloro che trasportavano la droga in Europa (precisamente in Spagna) sono europei. Per ogni viaggio questi ultimi guadagnavano circa 5000 dollari. Alla testa dell’organizzazione una donna boliviana che dal suo Paese guidava il gruppo narco. La cocaina entrava dalla Bolivia e giungeva a Buenos Aires, dove veniva dimezzata: metà per il mercato locale, l’altra metà destinata all’Europa.

Casi come quelli appena citati sono aumentati considerevolmente nell’ultimo decennio in Argentina, così come il consumo interno. Ma come è stato possibile ciò?

I fattori che hanno portato l’Argentina da Paese di transito secondario a Paese sotto influenza dei narcos (prima colombiani e messicani e negli ultimi anni locali) sono da ricercare nelle condizioni economiche, sociali, geografiche, legislative e infine in alcuni orientamenti operativi delle organizzazioni criminali straniere.

Partendo dalle condizioni socioeconomiche va ricordato che negli anni Novanta, sotto il governo Menem, numerose imprese vennero chiuse e quelle statali (come la compagnia aerea e le poste) privatizzate. Le privatizzazioni unite alle politiche neoliberali portarono al deterioramento dell’economia argentina e alla corruzione in tutti i settori istituzionali. Queste gravi condizioni condussero la popolazione allo stremo: si affermò in questi anni il narcomenudeo, ovvero la vendita di droga in strada. La situazione peggiorò ulteriormente durante la crisi economica che colpì l’Argentina nel 2001. Molte persone emigrarono dalle zone rurali o dai Paesi limitrofi a Buenos Aires e trovarono alloggio nelle villas miserias: qui, a causa delle precarie condizioni di vita, il traffico di droga si diffuse rapidamente. La criminalità organizzata, infatti, si diffonde rapidamente in questi insediamenti informali, simili alle favelas brasiliane, poiché sono “territori vietati” persino alle forze dell’ordine.  Ogni membro dell’organizzazione ha il suo ruolo predefinito, la sentinella che avverte di ogni movimento sospetto e il soldatito. Quest’ultimo è solitamente un ragazzo tra i 13 e i 17 anni ed ha il compito di sorvegliare il bunker nel quale viene venduta la droga, come la cocaina, anche se ultimamente si è diffuso sempre di più il paco: droga simile al crack, lavorata a partire dagli scarti della pasta base di cocaina (PBC) mischiata con candeggina, topicidi, acido solforico e cherosene.

Anche la condizione geografica ha giocato un ruolo fondamentale nell’aumento di droga. Non va dimenticato che l’Argentina confina con Paesi come la Bolivia (produttrice di foglie di coca), il Paraguay (produttore di marijuana) e il Brasile (Paese con un alto tasso di criminalità). Le province maggiormente colpite sono: La Rioja, Salta, Jujuy, Mendoza e Tucumán dal lato nordovest e  Entre Ríos, Chaco, Formosa e Santiago del Estero dal lato nordest.  Le vie di entrata sono la ruta 34 (al confine con la Bolivia), la ruta 11 (confine con Paraguay) e la ruta 38 attraverso le quali il trasporto avviene per via terrestre (camion, autobus a lunga percorrenza e automobili, ma anche persone) o per via aerea, utilizzando piccoli aerei privati che atterrano nelle piste clandestine o da cui viene lanciata la merce (pratica del bombardeo). Altra modalità molto diffusa è la via marittima; tra le principali entrate e uscite vi sono il porto di Buenos Aires e di Mar del Plata e il fiume Paraná. Quest’ultimo in particolare ha molte zone libere dal controllo delle forze di sicurezza e collega cinque paesi strategici per i narcos: Argentina, Uruguay, Brasile, Paraguay e Bolivia. Una zona di frontiera molto critica è, anche, la Triple Frontera, dove confinano Argentina, Brasile e Paraguay. In questo luogo si verificano molteplici traffici, dal narcotraffico al traffico di armi, ma anche merci contraffatte e traffico di esseri umani. In tutte le zone di frontiera i controlli sono scarsi e questo non aiuta a contrastare alla criminalità organizzata.

Vi è poi un ostacolo a livello legislativo da tenere in considerazione: la ley 23.767 che criminalizza il possesso di stupefacenti. La maggior parte delle operazioni di polizia non inizia come risultato di un’indagine, bensì per la detenzione di sostanze stupefacenti; ad essere fermati sono i consumatori, i piccoli spacciatori di strada o le mulas (coloro che trasportano la droga nascosta tra gli indumenti). Il sistema giudiziario, infatti, è saturo di casi simili; bisognerebbe, dunque, cambiare a livello inquirente. La polizia dovrebbe effettuare indagini di lungo periodo per smantellare la rete che c’è dietro il traffico degli stupefacenti.

Altra normativa che non viene rispettata è la ley 25.246, sul riciclaggio di denaro: la UIF (Unità di informazione finanziaria) argentina non sanziona in modo adeguato i casi sospetti e non effettua i controlli necessari a contrastare questo crimine economico. I casi che hanno visto importanti operazioni antidroga sono pochi, anche a causa del frequente coinvolgimento delle forze dell’ordine in rapporti di collusione. Gli episodi più eclatanti si sono registrati a Córdoba e Rosario ed è proprio in quest’ultima città della provincia di Santa Fe che ha preso potere il gruppo criminale Los Monos. Guidato dalla famiglia Cantero, questo gruppo oggi risulta così potente da potersi permettere di costruire i propri beni immobili su terreni in possesso di altre persone senza alcuna autorizzazione, così come su terreni non edificabili, e con un immenso patrimonio ottenuto tramite le varie attività illecite. Nel febbraio del 2014 alcuni membri del gruppo criminale, insieme con insospettabili, furono indagati per associazione illecita. L’indagine mise in luce la fitta rete di relazioni personali con imprenditori, poliziotti (gli agenti coinvolti furono otto) e calciatori, nonché la struttura della banda: il nucleo era costituito da Ariel Máximo Cantero (detenuto), Ariel Cantero (padre dei due membri più giovani e attualmente latitante), Claudio Cantero (assassinato nel maggio del 2013) e Ramón Machuca (sul quale pende un mandato di cattura).

Le lacune legislative, la sua posizione geografica e gli eventi socioeconomici degli anni Novanta hanno portato i narcos colombiani prima e quelli messicani poi a prediligere l’Argentina come Paese nel quale fare “affari”. In particolare i narcotrafficanti messicani hanno iniziato qui il loro traffico illegale di efedrina, precursore chimico dal quale vengono elaborate le metanfetamine. Questo traffico emerse nel 2008, con la scoperta del laboratorio di via Maschwitz (Buenos Aires): l’efedrina veniva importata dalla Cina o dall’India in Argentina, lavorata in quest’ultimo Paese e poi mandata negli Stati Uniti o in Europa, pronta per essere introdotta nel mercato .

È dunque chiaro ora come corruzione e impunità, laboratori di raffinazione e struttura orizzontale dei Los Monos, abbiano comportato l’evoluzione del narcotraffico in Argentina, rendendo quest’ultima un Paese sotto l’influenza dei narcotrafficanti.

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