Era già stato arrestato e condannato per 416 bis, ma una volta uscito dal carcere ha ripreso in mano le redini della Locale di ‘Ndrangheta di Lecco e avviato nuovi affari. Fino a qualche giorno fa quando il boss Cosimo Vallelonga è tornato protagonista dell’operazione della Direzione distrettuale antimafia dello scorso 9 febbraio che ha portato all’arresto di 18 persone. Ma Vallelonga non è di certo sconosciuto sul territorio: compare per la prima volta nella lista degli indagati nell’operazione antimafia “La notte dei fiori di San Vito” della metà degli anni ’90 e l’operazione “Infinito” del 2010. Una volta uscito dal carcere i suoi affari criminali non si sono fermati, anzi ha trovato spazio in nuovi settori di business come il mercato del traffico di materiale radioattivo.
Durante una intercettazione, riportata nelle carte della Procura, la conversazione tra il boss e un suo fedelissimo, anche lui pluripregiudicato, rivela i nuovi affari: “Per il nostro tipo di attività il massimo sarebbe mettere su un impianto tutto nostro. Perché i soldi si fanno con la cocaina ma non c’è solo questa”. Ma come ricorda una delle persone intercettate nell’ambito dell’inchiesta a Vallelonga c’è anche altro: “Oggi abbiamo – si legge nelle carte delle Procura – un settore come quello dei metalli. Ieri ne hanno arrestati venti, l’altro ieri trenta. Tutti i giorni. No perché adesso sono più concentrati (i controlli delle forze dell’ordine) con i metalli che con la cocaina”. Gli affari del boss iniziano ad andare male però quando il 2 maggio del 2018 la polizia ferma un tir con 16 tonnellate di materiale radioattivo illegale partito da una società di Brescia e diretto a una ditta di Arcore, in provincia di Monza e Brianza, per conto della All Metall, società riconducibile a Vallelonga.
Il business dei metalli però non è l’unico portato avanti dal boss. C’è anche il giro di estorsioni: Vallelonga, aiutato dai suoi fedelissimi, ha concesso prestiti con alti tassi usurai a imprenditori e famiglie della zona in difficoltà. Il tutto servendosi del metodo mafioso e, quindi, attingendo a minacce e intimidazioni qualora era necessario. Tra chi si era rivolto al boss per chiedere un prestito c’è anche una mamma che non sapeva come fare a pagare un importante e costoso intervento chirurgico alla figlia. Stando a quanto riportato sulle carte della Procura, il boss aveva così concesso alla donna un prestito da 22.500 euro, richiedendo indietro però 50mila euro. La donna, che non aveva la somma di denaro e che era intimorita dalle continue minacce a causa dei ritardi nella restituzione, si era fatta consegnare da un amico delle opere d’arte a garanzia della restituzione. E così aveva placato l’ira del boss. Segno che la liquidità offerta dalla ‘ndrangheta poi si paga a caro prezzo. Sempre.