di Stefano Scaccabarozzi

Non solo estorsioni, traffico di rifiuti (anche radioattivi), sparatorie e droga. La presenza delle mafie al Nord passa attraverso la gestione di pizzerie, hotel, pompe funebri ed aziende edili, ma anche da giri di consulenze e amicizie con la società civile. Una cerchia di insospettabili fiancheggiatori di cui la criminalità organizzata si circonda per ripulirsi le immagini, accreditarsi coi livelli istituzionali e poter continuare a fare affari, soprattutto ora che sono in arrivo i fondi del Pnrr. Ed è proprio la tutela delle risorse pubbliche che ha spinto la Prefettura di Lecco a intensificare i controlli e a emettere 26 interdittive antimafia negli ultimi due anni. Provvedimenti che hanno portato o al ritiro della licenza, e quindi alla chiusura di locali pubblici, o al divieto per aziende private di lavorare e ottenere finanziamenti dalle pubbliche amministrazioni.


Un vero e proprio record per una provincia da 340mila abitanti, adagiata sull’altro ramo del Lago di Como, nel cuore della Lombardia, con un tessuto economico costituito perlopiù da piccole e micro imprese e con una storia duratura di infiltrazione ‘ndranghetiste che prosegue ormai da oltre trent’anni.
Affari sporchi portati alla luce dalle continue operazioni delle forze dell’ordine, che hanno documentato l’invasiva e costante presenza della cosca Coco Trovato, originaria della provincia di Catanzaro. A sua volta storicamente collegata alle famiglie De Stefano e Tegano di Reggio Calabria e alla famiglia Arena-Colacchio di Isola di Capo Rizzuto. In quest’ottica le interdittive antimafia, che intervengono anche laddove non ci siano responsabilità penali acclarate, ma viene ravvisato un concreto rischio infiltrazioni, sono diventate uno strumento indispensabile.


«Dobbiamo fare terra bruciata di chi ha rapporti con personaggi di notoria fama criminale», ha recentemente spiegato il prefetto di Lecco, Castrese De Rosa che da circa un anno sta continuando il lavoro del suo predecessore Michele Formiglio. «Proseguiremo il nostro impegno per evitare che contributi e risorse pubbliche escano dai circuiti legali. Sono provvedimenti che arrivano dopo mesi di indagini da parte del gruppo di lavoro interforze antimafia. I destinatari possono impugnarli, ma al momento nessun ricorso è stato vinto».


Andando a esaminare le interdittive antimafia emesse, si trovano storie che fanno ben comprendere l’importanza del lavoro portato avanti dalla Prefettura lecchese. L’ultima è del 3 novembre, a carico della società cooperativa Global Form, attiva nel settore della formazione e dei servizi alle imprese, con sedi a Lecco, Cagliari e Messina. Il provvedimento interdittivo inibisce l’azienda dall’intrattenere rapporti con la Pubblica Amministrazione. Ad amministrare la Global Form è Elena Ghezzi, 59 anni, lecchese, da pochi mesi vice presidente nazionale vicaria del movimento Donne Impresa di Confartigianato. Alla Ghezzi, a cui nulla è mai stato addebitato a livello penale, sono stati contestati i rapporti personali intrattenuti («consolidati e con frequentazioni continue») negli anni con pregiudicati legati alla criminalità comune e organizzata, da nomi di spicco della cosca Coco Trovato fino al boss Cosimo Vallelonga. Tanto che il nome della Ghezzi si trova nelle carte sia dell’operazione antimafia Metastasi del 2014, sia in quella Cardine-Metal Money della scorsa primavera. Nonostante questo è giunta l’elezione ai vertici di Confartigianato da cui ora si è sospesa.

Altro caso eclatante è quello della pizzeria Le Chic di Galbiate, chiusa a fine ottobre per la terza volta. La nuova società è stata considerata come una continuazione delle due precedenti gestioni (si chiamava “Beatles”), entrambe destinatarie di provvedimenti interdittivi antimafia per la riconducibilità alla famiglia Trovato. A sorprendere, in questo caso, è stata l’ondata di solidarietà ricevuta dal gestore della pizzeria sui social dopo l’emissione del provvedimento.

Particolarmente significativa anche l’interdittiva emessa a febbraio a carico della Europa Cofani Funebri di Calolziocorte, operante nel settore del commercio all’ingrosso di bare e articoli funebri, riconducibile alla cosca ‘ndranghetista Vrenna-Corigliano-Bonaventura, originaria della provincia di Crotone.
Nel dicembre del 2019, era già stato emesso un primo provvedimento antimafia, con conseguente cancellazione dal registro della Camera di Commercio di Lecco, a carico dell’agenzia funebre Nuccio Vrenna appena aperta a Olginate. Secondo la Prefettura entrambe le soceità erano gestite dagli eredi di Nuccio Vrenna, potente capoclan crotonese morto nel 2007, collegato con le più potenti famiglie ndranghetiste di quella parte della Calabria come i Megna, gli Iona e i Grande Aracri.
Un provvedimento che aveva portato alla luce come nel lecchese non siano presenti soltanto infiltrazioni legate alla famiglia Coco Trovato.

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