di Claudio Campesi
ARRESTO. “Arrestaru a Ciccio Pakistan” mi avvisa un collega calabrese malcelando il sacrosanto entusiasmo per la notizia. Per un giornalista che si occupi di giudiziaria e ‘ndrangheta quel nome non può che richiamare alla mente tutta una serie di tragiche vicende. Faide, sangue, San Luca, Germania, ‘ndrangheta. Francesco Pelle, intraneo ad una delle ‘ndrine appartenenti al gotha dell’organizzazione calabrese, viene arrestato lunedì 29 marzo 2021 a Lisbona. Era latitante dal giugno del 2019 quando decise di darsi alla macchia poco prima di ricevere una condanna definitiva all’ergastolo per omicidio aggravato. Il boss, considerato di massima pericolosità e quindi inserito nel programma speciale di ricerca del Ministero dell’Interno, è stato tratto in arresto dall’unità antiterrorismo della polizia portoghese che ha dato quindi finalmente esecuzione al provvedimento restrittivo a carico di Ciccio Pelle. Indispensabile, per la buona riuscita dell’operazione, è stata l’opera di collaborazione tra gli investigatori italiani e portoghesi. Viene rintracciato grazie, in particolar modo, alle certosine investigazioni disposte dalla Dda reggina. L’uomo si trovava all’interno di un ospedale lusitano in quanto risultato positivo al Covid-19. Ma chi è Ciccio Pakistan?
LA STRAGE DI NATALE. Pelle è stato riconosciuto colpevole e condannato per l’omicidio di Maria Strangio, non una donna qualsiasi bensì figlia di boss e moglie di Giovanni Luca Nirta (Gianluca ndr), capobastone, all’epoca da poco uscito di prigione, dell’omonima ‘ndrina originaria di San Luca (RC), culla della ‘ndrangheta. Viene uccisa nell’ambito di quella che verrà conosciuta come “la strage di Natale”. Il pomeriggio del 25 dicembre del 2006, data scelta in classico stile mafioso, non a caso quindi, uomini col volto travisato da passamontagna aprono il fuoco nelle vie pubbliche del piccolo paesino aspromontano. Colpi di fucile che squarciano il silenzio e portano al ferimento di più persone, tra le quali un bambino, ed alla morte di una donna, Maria Strangio appunto, che spirerà nell’ospedale di Locri a seguito delle ferite riportate al petto e ad una gamba. Queste sole circostanze basterebbero a sbugiardare, una volta per tutte, il falso mito, caro all’Onorata Società, che millanta l’esistenza di un codice d’onore malavitoso che vieterebbe agli affiliati di coinvolgere donne e bambini nei propri intenti omicidiari. Nell’agguato rimangono feriti Francesco Nirta, fratello di Giovanni Luca Nirta (vero obiettivo del blitz), ed il figlio di 5 anni, Domenico Nirta. Poco prima, ed in altre circostanze, era stato raggiunto dai colpi d’arma da fuoco anche Francesco Colorisi, ferito a colpi di kalashnikov. Anch’egli risultava essere imparentato con il clan Nirta. Insomma si trattò di un vero e proprio capitolo rientrante a tutti gli effetti nella scia di sangue legata alla tristemente nota faida di San Luca. Infatti la “strage di Natale” era, a sua volta, la risposta della potente ‘ndrina dei Pelle-Vottari al tentato omicidio posto in essere dai Nirta-Strangio poco tempo prima, nell’estate dello stesso anno. In quell’occasione, vittima designata sarebbe dovuto essere proprio Francesco Pelle (Ciccio Pakistan) che riuscì a scampare all’agguato. Venne bersagliato a colpi di fucile mentre si trovava sul terrazzo di casa in compagnia del figlioletto nato da poco. Francesco Pelle rimase invalido a seguito delle lesioni riportate alla colonna vertebrale e fu costretto sulla sedia a rotelle da quel giorno. Questo il pretesto per il menzionato raid natalizio. Azione e reazione, come faida impone. Non si poteva non rispondere, anche in quest’occasione, sarebbe equivalso ad una dichiarazione di resa. Così, per ribattere ai fatti del Natale 2006 e per frenare i Pelle-Vottari che stavano preparando un nuovo agguato ai danni di Gianluca Nirta, saranno nuovamente i Nirta-Strangio a mobilitarsi. In questo caso decidono d’alzare l’asticella della dinamica sanguinaria dando il via alla più nota “strage di Duisburg”. La morte di Maria Strangio meritava una risposta degna di tale affronto.
DUISBURG. È il 15 agosto del 2007 (ritorna l’oculata selezione delle date per compiere stragi ed omicidi di ‘ndrangheta con il preciso scopo di renderne indelebile il ricordo negli avversari) quando la Germania, l’Europa, si accorge di essere ormai terra di conquista per la mafia calabrese. Verso le 2:30 di notte, fuori da un ristorante italiano presente nella cittadina tedesca, vengono freddati 6 giovani calabresi a colpi d’arma da fuoco. Più di 70 proiettili calibro 9 che imbrattano di sangue l’asfalto antistante al locale “Da Bruno”, riconducibile agli Strangio, teatro quella notte del compleanno di una delle 6 vittime. Per ognuna delle vittime fu riservato dai killer un colpo alla testa per accertarsi di aver chiuso la faccenda ed evitare, questa volta, che qualcuno potesse salvarsi. Verranno in seguito condannati, tra gli altri, a vario titolo, in qualità di ideatori e/o partecipanti alla strage: Giovanni Strangio, cugino di Maria, Francesco Nirta, Sebastiano Nirta e Giovanni Nirta.
In questo caso la ‘ndrangheta si espose inevitabilmente all’opinione pubblica non solo italiana ma europea. Metodi relegati spesso al profondo sud Italia, spesso descritto dalle cronache locali come burbero e spietato, ora venivano praticati senza timore nel cuore pulsante della Germania. A colpire l’immaginario collettivo fu, oltre alla giovane età delle vittime e alla ferocia dell’esecuzione, il ritrovamento di un santino bruciato nella tasca di uno dei morti, legato appunto ai riti d’affiliazione ‘ndranghetisti. I boss calabresi passarono dall’ossequioso rispetto del silenzio e dalla predilezione per l’invisibilità al comparire sui giornali di tutta Europa. Le inevitabili ritorsioni che sarebbero seguite a tali vicissitudini erano state, possiamo ipotizzare, preventivate e ritenute sopportabili pur di mettere in scena quella che fu una muscolare dimostrazione di potenza da parte dei Nirta-Strangio.
L’INIZIO DELLA FAIDA. Decine e decine i morti prodotti dalla faida utile a chiarire i rapporti di forza e di potere operanti a San Luca, da sempre considerata vertice della ‘ndrangheta. Vendette e tradimenti che videro contrapporsi appunto la famiglia dei Pelle-Vottari e quella dei Nirta-Strangio. La carneficina era iniziata nel febbraio del 1991 a seguito di un apparentemente banale scherzo di carnevale (lancio di uova) tra giovani appartenenti alle suddette contrapposte ‘ndrine di San Luca. Piccole ritorsioni violente, quali scazzottate, si susseguirono tra i rampolli delle due famiglie nell’immediatezza. Dalle uova al piombo il passo fu breve. Furono assassinati Francesco Strangio e Domenico Nirta, ventenni, nello stesso febbraio. La posta in gioco era alta. Si trattava infatti di famiglie che miravano ad espandere le rispettive sfere di potere e, ogni gesto pubblico aveva un suo significato. La reputazione in paese andava mantenuta alta, non si potevano nemmeno abbozzare segni di debolezza. Ecco perché un banale gesto di goliardia scatenò morti ed una faida che durò per più di 16 anni, producendo centinaia di cadaveri. A seguito della strage di Duisburg, e delle conseguenti azioni repressive di magistrati e forze dell’ordine, i clan contrapposti decisero di fermarsi. Le armi furono riposte e la ritrovata armonia interna risultò funzionale alla ripresa dei business consueti e remunerativi. La ‘ndrangheta tornò insomma ad inabissarsi.