di Giorgia Venturini
Gli arresti – Altro colpo alla locale di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo. Dopo i 34 arresti del 4 luglio 2019, giovedì mattina nelle province di Milano, Varese, Pavia e Reggio Calabria, i carabinieri del comando provinciale e del reparto anticrimine di Milano hanno eseguito 11 ordinanze di custodie cautelari in carcere emesse dal gip del capoluogo lombardo. L’accusa a vario titolo è di corruzione, estorsione, rapina, spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi da fuoco, incendio doloso, minaccia aggravata, favoreggiamento personale. Tutte condotte aggravate dal metodo mafioso perché, secondo gli investigatori, tutte commesse per agevolare la locale di Legnano-Lonate Pozzolo. Durante l’operazione i carabinieri hanno sequestrato beni e società per un valore complessivo di 500mila euro.
Le indagini – L’operazione antimafia di giovedì mattina non è che l’ultimo attacco da parte dello Stato alla ‘ndrangheta di Legnano: l’attività, coordinata dalla DDA di Milano, è la naturale prosecuzione dell’operazione “KriMIsa”, avviata nell’aprile 2017 e culminata nell’esecuzione di 34 provvedimenti cautelari restrittivi eseguiti il 4 luglio 2019. Due anno fa i militari erano riusciti a ricostruire gli assetti organizzativi delle famiglie di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo: hanno potuto confermare il loro legame con la cosca Farao-Marincola che controlla il territorio di Cirò Marina, in provincia di Crotone. Nelle carte dell’operazione era emerso anche l’infiltrazione della ‘ndrangheta negli apparati istituzionali locali e il suo coinvolgimento nelle ultime elezioni amministrative nel comune di Lonate Pozzolo. Sodalizio confermato anche pochi giorni fa con l’operazione del 13 luglio del Gico della Guardia di Finanza di Milano: tra i cinque arrestati era finito anche il consigliere comunale di Busto Arsizio (Varese) Paolo Efrem. La recente indagine, infine, ha confermato, grazie anche alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, la presenza dell’associazione mafiosa negli apparati pubblici.
I professionisti – La locale si serviva anche di professionisti esterni alla ‘ndrangheta: tra questi, un consulente della Procura della Repubblica di Busto Arsizio, già colpito da provvedimento cautelare il 4 luglio 2019 per altri reati. L’indagato, in qualità di titolare di un’agenzia investigativa, attraverso la quale fungeva anche da consulente tecnico dell’ufficio giudiziario varesino, effettuava le bonifiche a favore di un autorevole esponente della locale con l’obiettivo di rintracciare microspie, gps e telecamere installate dalla polizia giudiziaria. Forniva, inoltre, periodicamente informazioni su indagini in corso e indicava le tecniche e le cautele da adottare per eludere le attività investigative. Tra le carte della Procura emerge anche il coinvolgimento di un funzionario dell’Anas: intervenuto sul cantiere dell’impresa riconducibile a uno degli esponenti di ‘ndrangheta, il funzionario avrebbe accertato l’assenza dei permessi necessari all’occupazione della carreggiata della SS 341 del Comune di Vanzaghello (Varese). Compilato un verbale, lo avrebbe poi annullato una volta intervenuto l’affiliato. Le indagini coordinate dalla Dda di Milano, infine, hanno documentato anche le condotte illecite di due ufficiali della polizia locale dei Comuni di Ferno e di Lonate Pozzolo a favore dell’associazione mafiosa “attraverso l’illecita rivelazione di controlli ispettivi ai cantieri”. I due sono ora indagati, ma non destinatari di provvedimenti coercitivi.
L’estero – Stando a quanto riferito dai carabinieri, alcuni esponenti della famiglia di Vincenzo Rispoli, storico capo della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, tra cui la figlia, avrebbero esercitato il potere intimidatorio per mettere assegno anche un’estorsione a Malta lo scorso gennaio. Nel dettaglio, gli indagati avevano svolto un’attività lavorativa “in nero” in alcuni cantieri edili di Malta a favore di un imprenditore italiano. Tuttavia, il mancato pagamento concordato precedentemente avrebbe dato il via a una vera e propria “spedizione punitiva” in territorio maltese: l’imprenditore sarebbe stato picchiato e costretto a versare quanto preteso sia in contanti che tramite bonifici bancari. Secondo gli inquirenti, la violenza serviva non soltanto a punire l’imprenditore inadempiente ma a confermare, anche in territorio straniero, che “la ‘ndrangheta non è morta”, come uno degli stessi indagati avrebbe ripetuto più volte in una conversazione intercettata.