Inizia l’iter processuale contro i sei presunti colpevoli della morte della testimone di giustizia, avvenuta nel novembre 2009.
Si aprono le porte del tribunale per il Processo Lea Garofalo. A due anni dall’omicidio, la mattina del 6 luglio si è celebrata la tanto attesa prima udienza. Sono le 9.30 circa quando la Prima Sezione della Corte d’Assise del Tribunale di Milano, presieduta dal giudice Filippo Grisolia, dà il via alla prima fase di quella che si rivelerà essere un’udienza particolarmente lunga ed articolata. Colpisce l’assenza di Denise Cosco, la coraggiosa 19enne figlia di Lea Garofalo, che ha deciso di costituirsi parte civile e di essere testimone di giustizia; un’assenza che, come dirà il suo avvocato, Vincenza Rando, “è una scelta di libertà”.
Ma, per certi versi, dettata anche da ragioni di sicurezza: la ragazza non potrà essere vista dagli imputati e le dimensioni dell’aula rendono impossibile questa forma di tutela. Ugualmente, si notano quelle della sorella e della madre di Lea Garofalo, Marisa e Santina, quest’ultima non presente in aula per motivi di salute.
L’aula, piccola, non è gremita ma a rendere soffocante il clima ci pensano i sei uomini dentro la gabbia, tutti vestiti con una polo e scarpe firmate, per le grandi occasioni. Lo sguardo di chi, nonostante tutto – o forse ancora di più – , si sente un leone indomabile, le occhiate d’intesa con i parenti in fondo all’aula, il labiale, i baci inviati, i messaggi impossibili da decifrare ma che, a notarli, inquietano per la loro assurda normalità. E ancora una spavalderia e un senso di superiorità nei loro occhi, quasi come se la situazione non li riguardasse, mentre dalla gabbia commentano l’udienza in corso. Un’arroganza che, pensando ai capi d’imputazione di quegli uomini, sbalordisce terribilmente.
Questi i nomi degli indagati:
COSCO Carlo, nato a Petilia Policastro il 11.7.1970,
COSCO Giuseppe detto Smith, nato Petilia Policastro il 22.9.1964
COSCO Vito detto Sergio, nato a Petilia Policastro il 28.5.1969
CURCIO Rosario, nato a Petilia Policastro il 29.8.1976
SABATINO Massimo, nato a Pagani il 6.11.1973
VENTURINO Carmine, nato a Crotone il 5.11.1978
E questii capi d’imputazione e le eventuali aggravanti:
– sequestro di persona;
– aggravante di abuso di relazioni domestiche ,“in quanto la vittima è stata attirata nell’agguato dal convivente (o ex convivente), il quale ha approfittato della relazione da lui intrattenuta con quella e quindi del rapporto di fiducia”;
– omicidio premeditato ,“in quanto alcuni degli autori dello stesso, in particolare Cosco Carlo, Cosco Vito e Sabatino Massimo, avevano già posto in essere il 5.5.2009 un altro tentativo –fallito, ndr– a Campobasso” con l’aggravante che l’omicidio è stato commesso al fine di “agevolare attività di tipo mafioso e cioè della cosca della ‘ndrangheta di Petilia Policastro”;
– dissolvimento in acido del cadavere della donna “allo scopo di simulare una scomparsa volontaria di Garofalo Lea e quindi di assicurare l’impunità agli autori del suo omicidio”.
– Si propone inoltre, per tutti i capi di imputazione, l’aggravante di favoreggiamento dell’attività di tipo mafioso, nello specifico della ‘ndrina di Petilia Policastro.
L’udienza si apre con gli interventi della difesa che si presenta con una linea compatta, volta a sostenere l’inammissibilità della costituzione a parte civile degli enti che hanno presentato tale richiesta. Ovvero: Regione Calabria, Provincia di Crotone, Comune di Petilia Policastro (di cui sono originari sia cinque di sei imputati che Lea Garofalo) e Comune di Milano (in quanto città in cui si è svolto l’omicidio e che sta ospitando il processo). La tesi presentata a sostegno è quella esposta da uno dei difensori, per cui è necessario che si ravvisi “un rapporto di causalità diretta tra il danno – all’immagine, ndr – e il richiedente la costituzione a parte civile”. Un rapporto che, ancora secondo lo stesso avvocato, non può limitarsi alla provenienza geografica degli imputati o al fatto che l’omicidio sia stato commesso a Milano; condizioni che vorrebbero nascondere “l’interesse mediatico, perciò non legittimo” di questi enti a presentarsi come parti lese.
Su queste parole la corte si ritira. Dopo quasi un’ora la decisione: costituzione a parte civile accolta per il comune di Milano, Denise Cosco (assistita dagli avv. Vincenza Rando e Ilaria Ramoni), la sorella e la madre di Lea Garofalo (rappresentate dall’avv. Roberto d’Ippolito). Per Vincenza Rando questa non è l’unica soddisfazione: il rischio che venisse sospesa dall’incarico per incompatibilità tra ruolo di legale e di testimone (l’avvocato da settimane riceve pressioni telefoniche, proprio per il suo impegno nella difesa di Denise) è infatti rientrato dopo la decisione della corte.
Ma la difesa non demorde e solleva altre due questioni, non poco impegnative, che rimandano l’apertura del dibattimento di qualche ora. Da una parte la competenza giurisdizionale territoriale, dall’altra l’incompatibilità di ruolo per la figura del gip e quella del giudice che pronuncerà la sentenza. Le richieste avanzate riguardano infatti il dislocamento del processo al tribunale di Monza Brianza, misura necessaria – dice l’avv. difensore Guarito – “trattandosi di un disegno criminoso che parte da Campobasso e finisce a San Fruttuoso”, e la nullità del giudizio immediato emesso da un giudice “funzionalmente incompetente a giudicare, in quanto giudice che aveva emesso l’ordinanza d’arresto e si era quindi già espresso sulla materia processuale”.
Queste richieste trovano la dura replica del pubblico ministero Marcello Tatangelo, la cui domanda di respingimento –alla quale si sono associate anche le parti civili – viene accolta dalla corte dopo la seconda ripresa dell’udienza, avvenuta nel primo pomeriggio.
E sempre nel pomeriggio, finalmente, si apre il dibattimento. Il Pm ripercorre la vicenda di Lea Garofalo, dalla rottura con il mondo ‘ndranghetista fino alla sua morte, ne sottolinea i punti più importanti e oscuri e procede alla richiesta di visione di altri documenti di approfondimento e di ascolto dei 39 testimoni presenti nella lista. Prime fra questi, Vincenza Rando e Denise Cosco, al fine di “permetterle di portare avanti la sua costituzione a parte civile contro il padre”.
Il primo tentativo di rapimento di Lea Garofalo è datato il 5 maggio 2009. Le impronte e la deposizione della Garofalo portano ad identificare nell’aggressore Massimo Sabatino, già detenuto per traffico di stupefacenti, uomo con “uno strano tatuaggio sul collo” che si scoprirà avere contatti con Carlo Cosco.
Il pm procede quindi con un primo racconto del sequestro di Lea Garofalo, avvenuto in data 24 novembre 2009 a Milano, spiegando come nelle prossime udienze si procederà alla ricostruzione dettagliata della giornata. Tra i punti da approfondire c’è l’utilizzo del furgone per il sequestro e il trasporto di Lea Garofalo; appurato il prestito concesso da parte di un cittadino cinese residente in via Montello, il pm richiede di poter visionare il registro sul quale l’uomo segnava tutti i dati delle cessioni.
La prima giornata di udienza si conclude con una decina di parenti rimasti in aula fino alla fine, con l’avvocato difensore che afferma come sia anche necessario considerare “Carlo come un uomo che non ha potuto vedere la figlia dal ’96” e sostiene l’estraneità della vicenda da qualsiasi contesto e contaminazione mafiosi. Il tentativo dell’avv. Vincenza Rando di spiegare e ribadire perché Denise Cosco si sia costituita parte civile viene malamente interrotto dal brusio dei parenti e degli imputati.
Il presidente della corte rimanda ogni questione alla prossima udienza che si terrà venerdì 8 luglio alle 9.30, presso la Corte d’Assise di Milano.