di Alessandra Venezia e Demetrio Villani

Dopo trentatrè anni dall’omicidio del magistrato Bruno Caccia e dall’arresto del mandante Domenico Belfiore, un nuovo processo contro il presunto esecutore materiale dell’assassinio.

Torino. È la sera del 26 giugno 1983 quando, intorno alle 23.15, viene ucciso nella via di casa sua Bruno Caccia, l’allora Procuratore Capo della Repubblica di Torino.Il primo processo si apre l’8 maggio 1989, presso la Corte d’Assise di Milano. Qui si costituiscono come parte civile i familiari della vittima e il Ministero di Grazia e Giustizia. Contro quest’ultimo vi è un’opposizione della difesa che viene però respinta dalla Corte. La sentenza definitiva consiste nella condanna all’ergastolo dell’imputato Domenico Belfiore, unico mandante dell’omicidio, mentre restano oscuri gli esecutori materiali.Dopo trentatré anni dal delitto, nel luglio 2016, riapre il processo Caccia, questa volta con lo scopo di fare chiarezza su chi ha sparato al magistrato. Imputato: Rocco Schirripa, pluripregiudicato calabrese, già condannato in passato per 416 bis, nuovamente arrestato il 22 dicembre 2015.

La prima udienza ha luogo il 6 luglio, sempre presso la Corte d’Assise di Milano. Il giudice chiamato a presiedere la Corte è Ilio Mannucci, gli avvocati difensori di Schirripa sono Basilio Foti e Mauro Anetrini, il pubblico ministero è Marcello Tatangelo, lo stesso del processo a carico degli assassini di Lea Garofalo. In seguito alla richiesta di costituzione a parte civile dei familiari e di numerosi altri soggetti (Ministero di Grazia e Giustizia, Regione Piemonte, Città di Torino, Presidenza del Consiglio, l’associazione Libera), vi è la contestazione dell’avvocato Foti nei confronti di Libera. Egli sostiene infatti l’infondatezza della richiesta stessa in quanto l’omicidio Caccia è avvenuto nel 1983 mentre la fondazione di Libera nel 1995, pertanto il danno subito dall’associazione risulta inesistente. La questione viene rinviata dal giudice Mannucci alla successiva udienza di settembre, in previsione della quale vi è anche un possibile cambio di presidenza della Corte d’Assise. Nel corso dell’udienza non è passato inosservato l’intervento dell’imputato Schirripa, il quale ha espresso il timore che dopo tanti anni la giustizia rischia di non essere supportata da una corretta informazione, sottolineando l’importanza di avere un giudizio imparziale. La seconda udienza, a settembre, vede la conferma del giudice Mannucci e il rinvio della delibera sull’ammissione delle parti civili ad ottobre.

E’ il 10 ottobre ed ha inizio la terza udienza. Alle 9.45 l’aula della Prima Corte d’Assise è già gremita. Nelle prime file ci sono gli avvocati dell’imputato, Basilio Foti e Mauro Anetrini, l’avvocato Repici per la famiglia Caccia e il pubblico ministero Marcello Tatangelo. Poco più dietro si vedono gli avvocati della parte civile e, in ultima fila, Paola Caccia, figlia di Bruno. Ma non è finita: in fondo all’aula c’è un corposo gruppo di ragazzi, tutti con la medesima maglietta nera con una scritta colorata. Sono i ragazzi di tutti i presidi di Libera Milano, insieme a Libera Torino, Libera Piemonte e ad alcuni rappresentanti dell’associazione torinese ACMOS, presenti anche alle precedenti udienze. Proprio di fianco a loro, alcuni parenti dell’imputato. Infine, nella gabbia c’è Rocco Schirripa, jeans e felpa sportiva: inizialmente resta in piedi con lo sguardo che va dai suoi avvocati ai ragazzi in fondo all’aula, poi si siede, inquieto ma silenzioso.

presidio

Un gruppo di volontari di Libera in Tribunale a Milano tiene in mano la bandiera realizzata tre anni fa per la campagna di sensibilizzazione “Vedo sento parlo” in memoria di Lea Garofalo

Dopo essersi ritirata per un’ora in camera di consiglio per deliberare sulla costituzione delle parti civili, la Corte comunica la propria decisione di ammettere il Ministero di Grazia e Giustizia, la Regione Piemonte, il Comune di Torino, la presidenza del Consiglio e i familiari della vittima (due nipoti e i figli Paola, Cristina  e Guido). Non ammette invece Libera “Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, appoggiando la tesi presentata dall’avvocato Foti in prima udienza. Non vi è alcun ricorso da parte dell’associazione, rappresentata dall’avvocata Enza Rando, che qui cerca di ricostruire le ragioni dell’esclusione.

A questo punto si apre il vero e proprio processo e viene data la parola alle parti. Inaspettatamente la difesa inizia sostenendo non tanto l’innocenza del suo assistito, quanto l’impossibilità di ricondurre il reato in questione ad una fattispecie criminosa di stampo mafioso, dato che al tempo del fatto mancava una definizione giuridica universale di criminalità organizzata; lanciandosi in una complessa disquisizione dottrinaria, chiosa: “c’è tanta confusione sul concetto di criminalità organizzata”, peraltro “ci sono diverse definizioni, una sociologica e una giuridica: su quella del primo tipo c’è molta chiarezza, ma sulla seconda no perché i confini sono più labili”. Egli prosegue poi negando qualsiasi tipo di rapporto associativo e personale tra Schirripa e Domenico Belfiore –il mandante dell’omicidio- e conclude affermando l’illegittimità delle intercettazioni effettuate da parte della polizia durante le indagini e di conseguenza la loro inutilizzabilità ai fini processuali. È poi il turno della pubblica accusa, che confuta le tesi presentate dalla difesa. Sostiene infatti che le intercettazioni siano state autorizzate dal procuratore generale della Repubblica di Milano e che quindi c’erano i presupposti per effettuarle. Inoltre, il tipo di intercettazione (utilizzato nelle indagini per fatti di mafia) è giustificato e legittimato dal sospetto di associazione mafiosa nei confronti di Schirripa. Continua poi dichiarando l’insussistenza dell’affermazione riguardante la mancanza di una definizione universale di criminalità organizzata, in quanto essa è perfettamente inquadrabile all’interno della categoria del 416-bis. Infine risponde alla dichiarazione sull’inesistenza di rapporti tra Schirripa e Belfiore avvalendosi delle intercettazioni, chiara prova che fra i due non solo vi era un rapporto, ma che si trattava anche di un rapporto stretto e duraturo.

Nel pomeriggio si riapre il dibattimento con la delibera della Corte favorevole all’utilizzo delle intercettazioni come prova processuale in quanto legittime. La parola torna al pubblico ministero, che inizia ripercorrendo la vicenda di Bruno Caccia e conclude esplicitando la sua intenzione di chiamare alle successive udienze numerosi testimoni, provenienti da diversi ambiti e aventi ciascuno una propria motivazione. Anche la difesa afferma di essere intenzionata a presentare un elevato numero di testimoni. Tocca poi alle parti civili, le quali si limitano a dichiararsi completamente aderenti alla linea del pubblico ministero. Infine i familiari, nella figura dell’avv. Repici, sollevano una questione che probabilmente diventerà protagonista nelle future udienze. Essi, infatti, oltre ad annunciare di avvalersi a loro volta di molte testimonianze dirette, ritengono che il processo rappresenti un’opportunità per ampliare il ventaglio di responsabilità, attorno all’omicidio, fino ad ora non considerate, che vanno ben oltre l’arresto di Schirripa e la condanna di Domenico Belfiore. Essi, infatti, vogliono far luce su una verità più profonda, riguardante le connivenze e i possibili accordi (su cui ci si può documentare qui e qui) che stanno dietro l’uccisione del giudice.

L’udienza si è conclusa attorno alle 17 e si dovrà attendere il 19 ottobre, presso la Corte d’Assise di Milano, per assistere al prossimo capitolo di questo processo sempre più vasto e complesso.

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