di Beatrice Botticini Bianchi
Venerdì 30 settembre 2022, nell’ambito della rassegna Ali di Teatro del Teatro Elfo Puccini di Milano, andrà in scena presso il carcere di Bollate lo spettacolo Nel tempo che ci resta – Elegia per Falcone e Borsellino, scritto e diretto da César Brie.
Lo spettacolo, prodotto da Campo Teatrale e con più di 50 repliche all’attivo, è un viaggio a ritroso nel tempo nelle vite dei giudici Falcone e Borsellino, delle rispettive compagne Francesca Morvillo e Agnese Piraino Leto, e del pentito Tommaso Buscetta. Le anime dei cinque protagonisti si incontrano in un cantiere abbandonato, e raccontano a se stessi e al pubblico cosa è accaduto negli anni precedenti le stragi del 1992. I dialoghi non si fermano a un resoconto degli eventi, bensì indagano le dinamiche che hanno portato alla morte dei giudici, portando in scena anche elementi di cronaca recente.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista in seguito a una replica dello spettacolo: ci ha gentilmente concesso la seguente intervista, svelando il processo di creazione e i significati dietro al suo lavoro.
César, cosa ti ha portato a scrivere un testo teatrale sulla mafia a questo punto della tua carriera?
L’argomento mi è stato proposto dai direttori di Campo Teatrale. Inizialmente mi sarei dovuto occupare solo della scrittura e della regia, ma il tema mi ha appassionato tanto che ho deciso di recitare anch’io, interpretando Buscetta. È un tema interessante per la sua complessità e attualità. La vicenda di Falcone e Borsellino non è finita, ancora oggi portiamo avanti la loro lotta contro il crimine organizzato. La mafia può aver cambiato i mezzi, ma sappiamo bene che purtroppo è ancora molto attiva. Ricordando i giudici, raccontiamo anche il presente.
Nel tempo che ci resta – Elegia per Falcone e Borsellino: un titolo evocativo. In che senso questo spettacolo rappresenta un’elegia?
Questo lavoro è il frutto di una ricerca che si è poi trasformata in un’elegia. Quando ho cominciato ad approfondire il tema, la mole di informazioni e aneddoti era impressionante. Ho dovuto scegliere: o scrivevo un documento, ma questo è un lavoro più da giornalista, o facevo un monumento, un’elegia appunto. Mi sono permesso così di tagliare molte scene che sarebbero state comunque interessanti. Ho lasciato il nucleo: cos’è accaduto a Falcone e Borsellino? E cosa accade dopo la loro morte? Cambia qualcosa nel Paese per cui hanno dato la vita?
Sulla scena, insieme ai personaggi dei giudici e Tommaso Buscetta, troviamo anche Francesca Morvillo e Agnese Borsellino. Che ruolo ha la figura femminile nello spettacolo?
I personaggi femminili ci hanno permesso di costruire un dialogo tra la sfera intima, di coppia, e la sfera pubblica dei giudici. Volevamo mostrare anche la loro vita quotidiana, di persone che si amavano. Il nostro intento era creare un’unione tra la vita personale di Falcone e Borsellino e le azioni pubbliche, così che ci fosse un continuo viaggio dall’intimo al sociale, e dal pubblico al personale, per far emergere le loro storie in modo completo.
Come reagisce il pubblico a questo spettacolo?
Ci sono state reazioni molto forti, soprattutto da parte dei giovani. Abbiamo fatto diverse repliche per le scuole, e il dibattito in seguito agli spettacoli era accoratissimo. In Sicilia abbiamo ricevuto tanti complimenti, anche da persone vicine ai giudici, e questo per noi ha significato molto.
Come pensi si possa conciliare un tema così forte come quello della mafia con una creazione artistica? Qual è la necessità ora che l’arte si occupi di questioni così importanti?
L’arte si può occupare di tutto. Non c’è necessità che l’arte si occupi di questo tema, ma c’è un gruppo di artisti che decide di impegnarsi. Non è l’argomento in sé che conta, ma come lo sviluppo. Se lavoro sulla vicenda di Falcone e Borsellino, e ne faccio una cosa retorica, troppo gonfia e banale, ho fallito. Se attraverso questo lavoro riesco invece a scuotere le persone, a commuoverle e a farle riflettere, ho raggiunto il mio obiettivo artistico. Una persona deve uscire dal teatro e sentire che qualcosa dentro si è trasformato. È la forma in cui uno lavora che dà senso alla sua opera: la dedizione, l’intelligenza, l’immaginazione, il tempo che ci dedica. È questo quello che conta. E poi lo spettatore giudicherà il risultato.
Questa Elegia unisce elementi di cronaca a scorci sulla vita privata dei protagonisti, stabilendo così un buon equilibrio tra l’emotività dello spettatore e la sua razionalità. Come siete riusciti a bilanciarvi tra questi due poli?
Nello scrivere il testo abbiamo unito le informazioni raccolte da giornalisti e istituzioni, notizie perlopiù conosciute. L’intento dello spettacolo non è solo informare, ma scuotere, inquietare – far ridere e anche piangere, perché no. La nostra è un’opera artistica, non è uno spettacolo di denuncia, è un lavoro teatrale, appunto un’elegia per Falcone e Borsellino. In generale poi penso che ogni storia privata abbia una porta verso la società: l’io ha un vaso comunicante con il noi. Bisogna creare questo dialogo, trovare il collegamento tra il particolare e l’universale, tra il minuscolo e l’infinito. Gli aneddoti su Falcone e Borsellino che portiamo in scena possono quindi raccontare la storia di tutti noi.