Strano paese il nostro. La nazione che ha visto nascere e crescere al proprio interno le più grandi organizzazioni criminali del mondo può permettersi di non avere una Commissione parlamentare antimafia? Più di sette mesi sono passati dall’inizio della XVII legislatura. Sette mesi a cercare accordi sulla presidenza e sui nomi. Sette mesi di litigi tra PD e PDL, i due partiti della maggioranza di governo che non riescono a ragionare per un fine comune ma solo ed esclusivamente per le poltrone. L’impressione costante, infatti, è che queste commissioni siano ormai diventate un nuovo modo per ‘piazzare’ persone, che magari sono rimaste precedentemente fuori dai giochi. Nulla a che vedere con l’idea di Ferruccio Parri, ex segretario del Partito D’Azione ed eletto senatore come indipendente nel PSI nel 1957, di istituire una commissione bicamerale d’inchiesta sul fenomeno delle mafie, che vide la luce solamente nel 1962, quattro anni dopo la sua proposta. Nulla a che vedere con l’impegno e la dedizione di Pio La Torre, autore nel 1976 insieme a Virginio Rognoni del disegno di legge sul reato associativo di stampo mafioso e sulla confisca dei beni, poi approvato in quindici giorni dopo l’omicidio del Generale dalla Chiesa.
Sembra quasi soltanto una spartizione di nomine. Dove il fattore determinante pare essere l’equa distribuzione delle cariche tra i gruppi parlamentari. “L’importante è che ce ne siano dieci miei e dieci tuoi” si sente spesso dire. Come se la lotta alla mafia fosse un gioco. Come se per combattere veramente la criminalità organizzata non serva conoscenza, competenza e impegno. Forse è quello che ci meritiamo però. Chi si è mai domandato in questi mesi che fine avesse fatto la Commissione antimafia? In quanti hanno fatto pressione alle Camere affinché nominassero i nuovi membri? E se non lo facciamo noi, giovani e adulti, che abbiamo a cuore l’antimafia militante e vorremmo cambiare le sorti del nostro paese, chi lo dovrebbe fare? Forse solo con il nostro costante impegno e lavoro di mobilitazione e informazione sulla criminalità organizzata potremo in futuro allargare la platea di cittadini con la schiena dritta, rispettosi della legalità.
Tornando alla futura nuova Commissione antimafia, è apparso venerdì sull’Espresso un articolo firmato da Giovanni Tizan e Nello Trocchia. Fanno saltare sulla sedia alcuni nomi proposti e confermati per l’organismo speciale che dovrebbe votare il suo presidente martedì. DaCarlo Giovanardi (PDL), il Senatore che tanto si è battuto negli ultimi tempi per bloccare provvedimenti amministrativi emanati dai prefetti sulla base di informative investigative, utilizzati per tenere alla larga imprese sospette dai cantieri pubblici. Passando poi per Carlo Sarro e Claudio Fazzone, entrambi del PDL: il primo da sempre vicino alla famiglia Cosentino (imputato per concorso esterno in associazione camorristica) e convinto sostenitore del condono edilizio; il secondo si è battuto contro lo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Fondi, in provincia di Latina. Arrivando, infine, a Vincenza Bruno Bossio (PD), Deputata calabrese sposata con Nicola Adamo, ex Vicepresidente della giunta Loiero in regione. Entrambi assolti nell’inchiesta Why Not, Adamo resta imputato di corruzione in un’inchiesta sull’eolico in Calabria. Fanno ben sperare, invece, le nomine di altri deputati e senatori che si sono contraddistinti negli anni nella lotta quotidiana alla mafia. Tra tutte, quelle di Claudio Fava, deputato di SEL da sempre schierato all’interno dell’antimafia militante e figlio del giornalista Giuseppe Fava ucciso da Cosa Nostra a Catania nel 1984, e di Lucrezia Ricchiuti, Senatrice del Partito Democratico e vicesindaco di Desio, cittadina lombarda dove come amministratore locale aveva denunciato la presenza della ’ndrangheta, specialmente in materia di discariche abusive.
A colpire, però, sono i primi nomi, che pongono interrogativi importanti sulla buona riuscita dei lavori in Commissione. L’ennesima presa in giro di una classe politica sorda e incapace di capire che la criminalità organizzata è il vero cancro di questo paese. Se nella lotta alla mafia dovessero venire meno tutti i pilastri di uno stato che vuole definirsi tale, sarà veramente difficile sconfiggere e debellare questo potere criminale. “Incentrare la strategia di contrasto della criminalità mafiosa esclusivamente sul terreno tecnico investigativo, e non anche su quello politico culturale, è alla lunga inesorabilmente perdente” diceva Gian Carlo Caselli nel 1994. L’attualità di questa affermazione ci dimostra quanto questo paese sia maledettamente incapace di risolvere i problemi che lo divorano. Ma del resto è uno strano paese il nostro.