di Chiara Muzzolon 

PalermoTre giorni sulla Nave della Legalità che da Civitavecchia ha portato tantissimi studenti e insegnanti fino a Palermo per commemorare la strage di Capaci. Per ricordare Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, e insieme a loro tutte le vittime della mafia.
Tre giorni intensi e crudi tanto da avermi insegnato un pezzo di storia in più sulla mafia, preziosa e dura da digerire ma allo stesso tempo incompleta. Ora voglio saperne di più, è quasi un bisogno fisico, una fame.
Come quella dei ragazzi provenienti da tutta Italia che sulla nave interrogavano  persone come l’ex procuratore antimafia e attuale Presidente del Senato Piero Grasso, il professore di Sociologia della Criminalità Organizzata Nando dalla Chiesa o il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza. Da questi ragazzi sono emerse  storie di scuole che hanno lavorato duramente su questi temi, dalla domanda sul perché non vengono revisionati i programmi scolastici di storia a quella di chi portava con sé il malessere di provenire da realtà abbandonate come quella dell’Aquila del dopo terremoto.

Signora a Palermo - Chiara Muzzolon“Noi non abbiamo paura, portatevi dietro questa frase nella vita”, così ha chiuso il suo discorso il Ministro Carrozza prima di salire sulla nave, e con queste parole ha dato il vero inizio a questo viaggio.
Arrivare a Palermo il giorno dopo e vedere tutti gli studenti e gli insegnanti che stavano aspettando l’arrivo delle due navi, una da Napoli e la nostra da Civitavecchia, con striscioni e palloncini, ha reso inevitabile  la commozione. Una sensazione di unità ha coinvolto tutti, perfino il personale della nave.
Palermo, il pomeriggio del 23 maggio, pareva una città di primo mattino: mano a mano che passava il tempo, la gente per strada aumentava, fino a formare quel grande corteo senza fine che da Via d’Amelio ci ha portati fino all’albero Falcone sulle note di “Pensa” e di “100 passi”. Una città di primo mattino che però ha ancora tante finestre chiuse, tante tapparelle abbassate, ancora troppo stanche per tirarsi su.
Palermo aveva due volti: quello della signora affacciata al suo balcone che batteva le mani a tempo di musica e che sventolava con orgoglio il suo lenzuolo bianco, ma anche quello del signore  che al grido “lenzuolo, lenzuolo” faceva un cenno con la mano verso il corteo, come per dire “lasciate perdere”.
E ancora le parole di Don Ciotti a Corleone hanno colpito: “Non dobbiamo essere cittadini a intermittenza, non basta commuoversi per fatti gravi, bisogna muoversi di più e tutti insieme”.
Viene spontaneo chiedersi cosa succederà quando tutti noi andremo via e perché quelle finestre sono sbarrate, pur sapendo che noi torneremo alle nostre vite, mentre loro resteranno lì a fare i conti con quella realtà.

Palermo. Piazza Falcone e Borsellino a Corleone - Chiara MuzzolonQuest’anno la commemorazione non l’ho seguita in TV perché ero proprio a Palermo e ho perso approfondimenti come la puntata di Servizio Pubblico che Santoro ha dedicato alla mafia e ha intitolato provocatoriamente: “E’ Stato la Mafia”.
E’ stato mandato in onda un video con il boss della mafia Bernardo Provenzano, catturato dopo 43 anni di latitanza, che in carcere riceve la visita del figlio. Si vede un Provenzano provatissimo, un vecchietto piegato in due, con dei lividi sulla fronte, che stenta a parlare, e che pare tutt’altro che un crudele mafioso, ma piuttosto un poveretto stanco e innocuo.
Dopo essere stata a Palermo, dopo aver ascoltato le testimonianze su persone dall’infinito coraggio, dopo aver camminato in via d’Amelio, quella via che richiama l’immagine nitida delle auto bruciate dopo l’esplosione che uccise il giudice Borsellino e la sua scorta, mi chiedo che senso abbia mostrare chi il male lo ha provocato e per tanto tempo, sotto queste vesti. Mi chiedo che senso abbia alimentare un dibattito sulle condizioni di Provenzano in carcere. La sensazione è quella che spesso sia molto facile dimenticare e distrarsi, è molto facile creare delle discussioni ed evitarne tante altre.

Quelle due navi a Palermo ci sono andate per non dimenticare, perché il 23 maggio e tante altre date significative vengano ricordate sempre e, con le parole di Don Ciotti, “per imparare il coraggio”. Quel coraggio che prima di tutto stanno mostrando gli insegnanti che fin dai primi anni di scuola spiegano cos’è la mafia ai propri studenti e senza paura forniscono l’arma più forte: la conoscenza.

 

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