Ieri, 17 Aprile, a Como, è stato presentato il “secondo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali”, prodotto dai ricercatori di CROSS, l’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università degli studi di Milano. Di loro vi avevamo già parlato in occasione del primo rapporto riguardante la presenza delle organizzazioni mafiose italiane nel Nord Italia. In questa seconda relazione invece hanno cercato di ricostruire una “mappa ragionata dei settori economici in cui le organizzazioni mafiose operano e investono”; riferendosi però soltanto alle attività formalmente legali e che possono essere totalmente svolte in maniera legale, anche se comunque anche in esse il ricorso a metodi mafiosi si presenta e diventa decisivo per l’avanzata dei clan criminali. È quindi alla cosiddetta “economia reale” che il gruppo di ricerca rivolge principalmente la sua attenzione; un’economia estremamente martoriata e corrosa dalla presenza delle organizzazioni di stampo mafioso. Una permeazione che è profonda tanto dal punto di vista temporale (come ci mostrano le tabelle al termine del primo capitolo del rapporto); quanto dal punto di vista pratico, cioè i boss, specie quelli di ‘ndrangheta, fanno formalmente lavori umili, dal piccolo artigiano al manovale, e sono, “nel tessuto economico formale, popolo nel senso più pieno del termine”.
Questo fatto ci porta a smentire ancora una volta il mito che vuole i mafiosi al Nord solo per la presenza della borsa e dell’alta finanza, sebbene essi abbiano comunque rapporti con quel mondo.
La ricerca si è focalizzata appunto sui rapporti fra mondo legale e clan mafiosi, anche se, come dicono gli stessi ricercatori, ultimamente nuove inchieste giudiziarie “stanno registrando nei network della corruzione nuove prassi in grado di incidere in profondità sul complessivo sistema dell’illegalità”. Prassi che non nascono nel rapporto fra le istituzioni o le imprese e le organizzazioni criminali mafiose, ma che poi arrivano ad influenzarlo profondamente; come la cosiddetta “criminalità organizzata dei colletti bianchi”, che è arrivata a costituire un mondo illecito a sé stante nel vasto marasma dell’ “area grigia”, rendendolo ancora più permeabile alla corruzione e all’infiltrazione delle più antiche e organizzate forme di criminalità mafiosa. Questa sta infatti cambiando lo “schema corruttivo”, passando da quello “classico” che prevede risorse private (denaro) in cambio di una decisione pubblica, ad uno più sofisticato, prevedente uno scambio fra risorse pubbliche. Ne scaturisce quindi un “autentico sistema corruttivo al quale l’organizzazione mafiosa può essere, per differenti interessi o ragioni, chiamata a partecipare”, le cui conseguenze sono difficilmente calcolabili.
In ogni caso il focus del rapporto ci presenta purtroppo una situazione per nulla rosea anche sotto il profilo dell’infiltrazione delle associazioni criminali mafiose nell’economia legale. Anzi, i settori economici di operatività dei clan sono definiti “molti ed in espansione”. Per comodità analitica i ricercatori li hanno raggruppati in grandi campi omogenei, riportando poi per ciascuno di essi anche singoli casi pratici in modo tale da renderli più chiari. Questi principali settori di attività comprendono quelli storici – dove le mafie hanno da sempre cercato di operare e sono pesantemente presenti – come il movimento terra ed il ciclo del cemento o le grandi imprese e i lavori pubblici o la ristorazione ed il commercio al dettaglio. Passano per quelli in cui si stanno verificando innovazioni qualitativamente importanti, come il turismo o il commercio all’ingrosso o il gioco d’azzardo, in cui i sindacati del crimine hanno potuto constatare la possibilità di fare ottimi affari ed hanno quindi voluto implementare la propria presenza. Infine arrivano a quelli di più recente espansione, come lo sport o il ciclo dei rifiuti o la sanità privata e pubblica; settori, questi, dove si sta recentemente concentrando la forza mafiosa. È anzi proprio la sanità ad aver assunto un carattere primario nelle priorità d’infiltrazione dei clan, grazie ad un “sistema di priorità ed incentivi”, che garantisce, oltre ai vantaggi economici, anche prestigio sociale (relazioni con élites sociali e benemerenze), vantaggi politico-elettorali (allargamento del bacino elettorale) ed impunità giudiziaria (false perizie, cura e luoghi di ritrovo sicuri). Il tutto senza dimenticare ovviamente il settore del terziario privato che veniva e viene tendenzialmente sfruttato per riciclare il denaro di provenienza illecita.
Dal secondo rapporto di CROSS scaturisce quindi che l’economia legale per i mafiosi non è un mondo nuovo e diverso dove mettere da parte le solite abitudini e presentarsi “solamente” con grandi quantità di denaro da riciclare in varie attività, dagli alberghi alle cliniche, fino alle grandi imprese. Egli non vive assolutamente “una sia pur astuta palingenesi purificatrice”. Una certa quota, sia pure variabile e latente, di violenza continua sempre a fungere per lui da risorsa fisiologica e decisiva per svolgere efficacemente il proprio ruolo, anche nei settori dell’imprenditoria legale.
Allo stesso modo, dall’elaborato emerge come anche l’imprenditore, il professionista o il politico del Nord che viene a contatto con la mafia sia colto da ciò che i ricercatori definiscono brillantemente come “sindrome di Calvi”. Cioè la convinzione che il criminale “possa essere vantaggiosamente ingaggiato o acquisito come utile collaboratore o partner per poi disfarsene o domarlo, forti della propria superiorità di status o di potere ufficiale”.
Risulta riscontrabile inoltre che, ai fini di una strategia di contrasto a queste organizzazioni criminali e a questo modus operandi, quel che deve essere primariamente temuto non è tanto la “finanza mafiosa”, “bensì la complessiva qualità sociale che permette a quella finanza di scendere dai paradisi fiscali e diventare potenza terrena”. Cioè il fatto che l’economia mafiosa è in realtà intrisa e oliata dai comportamenti decisivi e vitali di personaggi che mafiosi non sono, la cosiddetta “area grigia”, che risulta tanto importante da far sostenere ad alcuni esperti che “la vera forza della mafia sia al di fuori di essa”. Ciò accade principalmente – come la ricerca ben dimostra e mette in rilievo – nella sanità.
Questa predisposizione e una certa affabilità da parte dei cosiddetti colletti bianchi verso i clan garantiscono a questi ultimi di cercare non soltanto vantaggi economici, ma anche dei “vantaggi cumulativi”, cioè “vantaggi di sistema”. Sia di “sistema economico”, che porta a guardare, ad esempio sempre nella sanità, non solo alle forniture e agli appalti, ma anche alle onoranze funebri o ai distributori automatici; sia di “sistema sociale”, che porta a massimizzare la combinazione di vantaggi economici, relazionali, familiari, giudiziari, politici, militari e di reputazione. Proprio questo è infatti il punto centrale della realtà messo progressivamente a fuoco dal rapporto, anche attraverso le sue molte tabelle di sintesi: ossia, l’orientamento dei clan a usare tutti i vantaggi possibili offerti dal contesto in cui operano. Essi “non buttano via niente” e allo stesso modo in cui i contadini operano con il maiale, preziosa ricchezza dell’economia rurale, anche i mafiosi operano con l’economia, legale ed illegale. Non c’è infatti provento di narcotraffico, per quanto gigantesco, che possa fare apparire troppo poco remunerativo un affare.“Nulla esce dall’orizzonte della convenienza”. Dagli alberghi di lusso al un piccolo appalto di pulizie, dalla grande opera pubblica alla piccola rotonda di paese, tutto porta vantaggio all’associazione criminale, facendo del fenomeno mafioso un “autentico sistema di potere in espansione”.