La somiglianza, almeno a prima vista, è evidente. Cosa nostra oggi ricorda quella di sempre: c’è chi scappa e chi insegue. Chi si nasconde e chi cerca. Le regole sono sempre le stesse, i giocatori pure. Noi e loro. Lo Stato e la mafia, su due binari paralleli che, a volte, tendono a incontrarsi. A sorprendere oggi, però, è la percezione di uno scenario migliore. Il frastuono delle stragi e il rumore della guerra di mafia degli anni ottanta sono il ricordo di una Cosa nostra ormai estinta. Questo è certo. A scandire il tempo oggi è il silenzio. Un silenzio che se da un lato rassicura dall’altro preoccupa. Sì, perché l’assenza di omicidi di mafia potrebbe sia essere indizio di una mancanza di potere e, quindi, di lotte per il suo raggiungimento, ma anche prova di una possibile riorganizzazione del sistema. Dopotutto Cosa nostra, così come altre mafie italiane e non, è abituata a susciare, a muoversi senza fare rumore.
Oggi Cosa nostra è un flash di notizie regalate all’opinione pubblica. Il processo sulla trattativa Stato-mafia, le intercettazioni di Totò Riina dal carcere e la latitanza di Matteo Messina Denaro sono sufficienti per confermare che la mafia, ancora, continua ad essere parassita scomodo del sistema economico e sociale italiano, ma non abbastanza forte da ricomporre quella cintura di sicurezza attorno all’organizzazione.
Oggi Cosa nostra è passato e presente che si intrecciano. Le frasi di Totò Riina gridate al vento durante le sue ore d’aria nel carcere ci ricordano gli anni delle stragi, della dittatura corleonese e del binomio stretto con la politica. Totò Riina è il passato di una Cosa nostra che si teme sempre possa tornare. Ma è veramente così?
<<Dopo l’arresto nel 1993, Totò Riina non aveva mai voluto parlare. Si dichiarava innocente e diceva di non aver niente da dire. Parlava solo a sua moglie, Ninetta Bagarella, in carcere durante i loro incontri regolari. Totò Riina era sepolto vivo da quel 41 bis che ha più volte soffocato l’animo ribelle dei mafiosi. Nel luglio 2009, però, il suo sciopero del silenzio finì. Sia chiaro non si pentii, anzi, accusò lo Stato. Lo ammazzarono loro, guardatevi dentro anche voi, fu la sua prima frase. Poco tempo dopo, a Palermo prese il via il processo sulla trattativa Stato-mafia>>. A far luce sul Totò Riina di oggi è Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica. Reporter di guerra in quella Palermo degli anni ottanta che i giornali paragonarono a Beirut. Lo incontro un pomeriggio di ottobre a Roma. Si parla di mafia. Lui spiega e io ascolto. <<C’è chi dice che Totò Riina sia pazzo. Che le sue frasi siano senza senso. Oggi il boss di Corleone ha ottantaquattro anni compiuti. È vecchio. Quello sì, ma pazzo no. Al medico, nelle sue recenti visite, ha detto: dottore, io sono perfetto dal collo in su! È confusionario, invece. Cambia spesso idea, ma non si contraddice mai quando parla dei suoi nemici: Don Luigi Ciotti e Antonino Di Matteo. Li condanna a morte. Il primo perché, come dice, sta costruendo un impero dell’antimafia con il carisma di Don Pino Puglisi. Il secondo lo vede sempre in aula in tribunale. È chi lo condanna>>.
Ma se Don Ciotti e Di Matteo sono i nemici, Alberto Lorusso chi è? Può uno stragista come Totò Riina fare amicizia con un mafioso di secondo ordine come il boss pugliese? <<Chi sia in realtà Lorusso, non sono in molto a saperlo. C’è pure il sospetto che sia stato affiancato a Riina dai servizi segreti. Ma una cosa è certa, il capo corleonese mai e poi mai rivelerebbe segreti e regole di Cosa nostra a un membro di un’altra organizzazione e per di più neanche un esponente di primo piano>>
E se Totò Riina è il passato, Matteo Messina Denaro è il presente. Un presente silenzioso e incerto. <<Il boss trapanese è il colpevole delle stragi del ’93 al nord. Quella di via Palestro a Milano e di via dei Georgofili a Firenze. Oggi è, forse, l’unico che possa prendere le redini dell’organizzazione. Ha il sapere delle stragi e detiene le segrete carte di Cosa nostra. Quelle di Riina. Quelle che sparirono misteriosamente nel giorno dell’arresto. Matteo Messina Denaro è probabilmente l’erede di Riina, ma che i due siano in contatto questo lo escludo. Quest’ultimo, infatti, dal carcere non si rivolge a Denaro per due motivi. Tra i due c’è troppa differenza di età che distingue due generazioni di potere che hanno ben poco in comune. Inoltre, uno è trapanese, l’altro corleonese. Troppa distanza geografica, incolmabile per la prassi mafiosa. Denaro sarà pure il membro più influente dell’organizzazione, ma Cosa nostra è cambiata. La mafia, oggi, non ha forza per ripetere gli anni del terrore di Riina>>.
Oggi Matteo Messina Denaro continua a scappare e lo Stato continua a cercare. Ma nella caccia all’uomo polizia e magistrati non sono da soli. Sono in molti a cercarlo. <<Dove sei Matteo?>>, è la domanda che ogni mattina Giacomo di Girolamo rivolge al boss di Cosa Nostra ai microfoni di Radio Marsala Centrale, meglio nota come Rmc 101. Sono in molti ad ascoltalo. Tutti d’accordo sul fatto che, oggi, la mafia si trasforma e si indebolisce perché l’antimafia, invece, si evolve e si espande. Sempre più.