di Mattia Maestri

“Professò, me so commosso!”. È la voce di un sedicenne davanti all’albero Falcone, a Palermo. Pietro Grasso, accanto a Maria Falcone, ha appena pronunciato i nomi e i cognomi delle vittime di Capaci e via D’Amelio. Poi il silenzio, quasi irreale. Gli applausi liberatori con i visi bagnati. I palloncini al cielo. Le note di “Pensa” e de “I cento passi”, che trasformano un momento di raccoglimento in un’esplosione di emozioni. Perché la lotta alla mafia è gioia di vivere, sempre.

E allora riavvolgiamo il nastro di questo pazzesco finale, che ogni anno si ripete grazie alla Fondazione Falcone e al MIUR, e che solo una pandemia ha purtroppo interrotto.

È l’alba del 22 maggio. Qualcuno si sta già mettendo in viaggio. Qualcun altro se la prende con comodo. In attesa del ritrovo, al porto di Civitavecchia. I primi ad arrivare sono sempre quelli che arrivano da più lontano, con gli occhi visibilmente assonnati, dopo interminabili ore di pullman. Visi stanchi ma cuori in attesa.

Non si riesce ad immaginare cosa accadrà. Nessuno pensa di essere travolto da un turbine di emozioni contrastanti. In pochi credono realmente a quanto raccontano i loro compagni di scuola che ci sono stati l’anno prima.

Allora cominciamo con le prime ore al porto. Video messaggi si alternano ai saluti dei presenti. Ci sono i ministri dell’Istruzione e della Giustizia, cardine di ogni Stato che si definisca democratico. C’è il Presidente della Repubblica. E con loro i magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, giornalisti. Tutte categorie professionali che, storicamente, hanno pagato a caro prezzo la lotta alla mafia. Il sole bacia l’asfalto, emanando calore come il suono del battimano che accompagna gli interventi dei presenti.

“Ora tutti sulla nave!”. Sono più di mille i ragazzi e le ragazze, provenienti da tutta Italia, accompagnati da quelle professoresse e professori che contribuiscono a fare più bella l’Italia. Un paese che comincia a far sognare i più piccoli, sulle orme di Falcone, Borsellino e di tutti gli uomini e le donne capaci di lasciare il segno, da partigiani dell’azione e delle parole.

Dopo la cena, un convegno che prepara gli studenti alla giornata successiva. E mentre i più piccoli si accoccolano sui divanetti della sala, i più grandi sbarrano gli occhi ascoltando la testimonianza dell’autista di Giovanni Falcone, sopravvissuto alla strage. Il brusio si attenua fino a scomparire. il valore del racconto, che spezza le disattenzioni e la comprensibile stanchezza, che rende partecipi di un dolore collettivo ragazzi all’epoca non ancora nati.

La prima notte è breve. All’alba, nelle cabine dei passeggeri, la musica di Pavarotti e dei Modena City Ramblers. Ad accogliere il giovane e spensierato equipaggio centinaia di bambini e ragazzi siciliani, figli di quella generazione che ha vissuto il sangue e le bombe mafiose. Cappellini colorati e bandierine al vento. Sembra un arcobaleno animato lontano che piano piano diventa più grande. Un arcobaleno che canta, che sorride.

Nel frattempo, da giorni, in piazza Magione ci si prepara ad accogliere questa ondata di bellezza.

C’è un palco, dove per tutta la mattinata si alternano cantanti, giornalisti, scolaresche, comici. Ci sono gazebi bianchi, ognuno rappresentante un Corpo dello Stato, un’associazione. Tutti con una propria ‘missione’ mattutina. C’è il cruciverba della legalità, c’è l’esposizione dei lavori delle scuole, ci sono i giochi per i più piccoli. Si preparano gli striscioni per i cortei del pomeriggio, si disegna sul prato verde nel cuore della Kalsa, quartiere di nascita di Falcone e Borsellino.

Dall’altra parte di Palermo il ricordo più istituzionale, nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, dove il 10 febbraio 1986 cominciò il primo storico maxiprocesso a Cosa nostra.

Da quel luogo parte uno dei due cortei pomeridiani. L’altro da via d’Amelio, luogo tristemente noto per la strage che ha strappato alla vita l’amico d’infanzia e collega di Giovanni, Paolo Borsellino.

Si parte. Si percorre Palermo. E lungo il cammino si ricordano altre vittime di mafie, nei luoghi dove sono state uccise. Boris Giuliano, Cesare Terranova e Lenin Mancuso, Libero Grassi, Rocco Chinnici, Piersanti Mattarella. “Lenzuolo, lenzuolo!”, gridano dalle strade. Ovazione nel momento in cui si srotola un grande tessuto bianco dal balcone. I lenzuoli, simbolo della reazione coraggiosa dei palermitani all’indomani delle stragi del ’92. Perché “Palermo è nostra e non di Cosa nostra!” e perché “siamo noi, la Sicilia quella vera siamo noi!”. Cori che cantano anche le scolaresche friulane e trentine, avvolte in questa calorosa manifestazione d’affetto verso coloro che hanno pagato con il sangue il servizio allo Stato. Perché “Palermo chiama Italia” e l’Italia risponde. Con il volto più pulito possibile.

Infine, l’albero. Via Emanuele Notarbartolo, davanti al civico 17. Così maestoso.
I due cortei si abbracciano davanti al palco.
Un suono di tromba:

“Giovanni Falcone. Francesca Morvillo. Rocco Dicillo. Antonino Montinaro. Vito Schifani. Paolo Borsellino. Emanuela Loi. Agostino Catalano. Walter Eddie Cosina. Vincenzo Li Muli, Claudio Traina”.

Lunghi applausi. Palloncini tricolori che si avvicinano all’azzurro del cielo.

Si torna a casa. Diversi. Quasi straniti. Incapaci di immagazzinare emozioni. Desiderosi di dare voce ai sentimenti. Ansiosi di fare la propria parte.

“Me so commosso Professò”.