di Erica Ravarelli
Era fermamente convinto che la bellezza potesse essere usata come “un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”. Definiva la mafia come “una montagna di merda”. E si rifiutò anche solo di prendere in considerazione l’idea di seguire le orme di suo padre. Ancora oggi, 44 anni dopo il suo assassinio, la memoria di Giuseppe Impastato, detto Peppino, rimane indelebile nelle menti di chi non si rassegna a soccombere di fronte alle minacce, alle prepotenze, all’omertà: in due parole, alle logiche mafiose.
Peppino Impastato nacque a Cinisi il 5 gennaio 1948 da una famiglia mafiosa, e dovette subito pagare la scelta di non accettare la vita a cui sembrava essere destinato. La sua determinazione, infatti, lo portò a rompere da subito ogni legame con suo padre Luigi e con il marito di sua zia, il boss Cesare Manzella. Per via della sua netta presa di posizione, Peppino fu cacciato di casa, e tuttavia ciò non bastò a farlo tornare sui suoi passi, così come non bastarono le minacce mafiose e la preoccupazione di sua madre Felicia.
Nel 1975, dopo aver militato nelle file del PSIUP e dopo aver dedicato la sua gioventù a lottare al fianco di contadini, operai e disoccupati, Peppino fondò il circolo Musica e Cultura, che promuoveva attività culturali come concerti, cineforum e dibattiti. In poco tempo, la neonata associazione si affermò come punto di riferimento per i giovani di Cinisi: una boccata di ossigeno nella Sicilia degli anni ’70, devastata dalle speculazioni edilizie e travolta dall’avvio dei traffici di droga, che iniziavano a transitare proprio nel vicino aeroporto di Punta Raisi. Nell’ambito delle attività promosse dal circolo trovarono spazio, tra l’altro, i dibattiti sulla condizione della donna e sull’aborto, quelli sull’ambiente e contro il nucleare.
Il contributo più decisivo nella lotta a Cosa Nostra Peppino decise di affidarlo alla sua voce e alle onde radio che le permisero di entrare nelle case dei cinisensi e di denunciare i crimini e gli affari dei mafiosi e di alcuni esponenti politici. Nel 1977, infatti, Peppino fondò radio Aut, un’emittente libera e autofinanziata dai cui microfoni fu inaugurato un nuovo modo di combattere la mafia: quello che si serviva dello scherno e dell’ironia. Nel suo programma Onda Pazza, Peppino denunciava in particolare l’attività del boss Gaetano Badalamenti, cresciuto a soli pochi metri da casa Impastato. Fu proprio “Tano Seduto”, come lo aveva soprannominato Peppino, a lanciargli un ultimatum: “se non la smette lo ammazziamo”, aveva asserito.
Peppino di smetterla non ci pensò neanche un momento, e così la sua voce fu brutalmente messa a tacere nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, quando fu assassinato in un casolare a Cinisi. Per depistare le indagini, con il cadavere di Peppino fu inscenato un attentato, nel tentativo di far passare la sua morte come un incidente avvento durante il posizionamento di una bomba lungo i binari della ferrovia che collega Trapani a Palermo. La data della sua morte coincide con quella del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani, a Roma, sicché l’attenzione dell’opinione pubblica fu immediatamente distolta dai fatti di Cinisi.
Furono Felicia Bartolotta, madre di Peppino, e suo fratello Giovanni Impastato, a battersi affinché fosse riconosciuta la matrice mafiosa dell’omicidio, e la società civile si schierò dalla loro parte: “Peppino Impastato è stato assassinato dalla mafia”, c’era scritto su due manifesti che furono esposti a Cinisi e a Palermo.
L’iter giudiziario non fu certo breve né privo di intralci: si passò, infatti, dalla tesi secondo cui Peppino sarebbe rimasto ucciso per via di un incidente avvenuto durante la preparazione di un attentato, alla resa dichiarata nel 1992, quando i giudici sostennero che non fosse possibile individuare i responsabili dell’omicidio pur riconoscendone la matrice mafiosa. La condanna di Gaetano Badalamenti, il mandante dell’omicidio, arrivò nel 2002, grazie alle preziose dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo. Un anno prima era stato condannato anche Vito Palazzolo, l’esecutore materiale dell’omicidio.
Oggi, a 44 anni dalla morte di Peppino, le iniziative che si propongono di onorarne la memoria sono eterogenee e numerose: spettacoli teatrali, film e canzoni si ispirano alla sua vita, piazze, vie e parchi portano il suo nome, circoli, collettivi e premi sono intitolati alla sua memoria. E a tutto questo si accompagna l’attività di divulgazione e approfondimento portata avanti dal centro di Documentazione Giuseppe Impastato, fondato nel 1977 da Umberto Santino e Anna Puglisi e dedicato alla memoria di Peppino dal 1980. Risale, infine, allo scorso 26 aprile la decisione di ristrutturare il casolare in cui Peppino fu ucciso, per trasformarlo in un centro culturale dedicato alla lotta contro le mafie. “A pochi giorni dall’anniversario dell’uccisione di Peppino Impastato un altro passo avanti per confermare condanna per la violenza mafiosa, per fare memoria dell’impegno di Peppino Impastato e promuovere la cultura della legalità contro il sistema criminale di Cosa Nostra e di tutte le mafie”, ha dichiarato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando.