Di Dario Sousa e Silva

Marielle Franco

Fotografia: Mídia Ninja

Il Brasile sta sperimentando un imbarbarimento della vita politica. A questa situazione contribuiscono anche i media e i social network diffusori di odio. Tale processo però non è una caratteristica esclusiva del contesto brasiliano. In diversi Paesi dalle differenti tradizioni democratiche, infatti, stanno avanzando movimenti fascisti e proposte politiche volte a ridurre i diritti. In Brasile gli omicidi e le minacce nei confronti dei difensori dei Diritti Umani e di chi difende la riforma agraria, degli ambientalisti ma anche le violenze nei confronti delle minoranze non sono fatti recenti. Tuttavia, la domanda che ci si pone oggi è “che cosa c’è di specificatamente grave nel recente assassinio politico della consigliera Marielle Franco?”.

La consigliera comunale Marielle Franco, 38 anni, era originaria della favela, era nera, madre e aveva come compagna un’altra donna. Laureata in Sociologia presso l’Università Cattolica di Rio de Janeiro, rappresenta l’esempio di quella generazione che ha scalfito il classismo presente nelle università e che ha portato sulla scena pubblica i discorsi sulla periferia e sulle minoranze. Diversi fattori hanno contribuito a questa traiettoria. Per circa 14 anni vi è stata una breve apertura verso politiche sociali inclusive, che hanno rappresentato un solco importante nella tradizione di esclusione. Tradizione che è stata al centro delle sfide lanciate da diverse forme di militanza, le quali, con grandi difficoltà e rischi, sono riuscite a conquistare una posizione rilevante della vita e del dibattito pubblico. Questa parziale ventata di democrazia si è sopita nel 2016, anno in cui Marielle è stata eletta alla Camera dei Consiglieri di Rio de Janeiro (posizionandosi quinta per numero di preferenze) e anno in cui un movimento parlamentare ha rimosso la presidente eletta Dilma Roussef.

Il golpe parlamentare del 2016 che ha deposto la presidente si è configurato come un momento decisivo in Brasile, che da una parte ha acuito la già perdurante crisi di violenza, mentre dall’altra ha prodotto una sorta di distorsione del significato stesso di “istituzioni”. Il primo mandato della Roussef è stato frenato e ostacolato dalla presenza di una maggioranza conservatrice in Parlamento. Inoltre, il modello di finanziamento delle campagne elettorali previsto dalla legge aveva determinato l’elezione del 70% dei parlamentari finanziati da cinque società del mondo dell’industria. Tra queste si distinguevano quelle che sono pubblicamente conosciute come il gruppo BBB: “do Boi” (grandi agricoltori e proprietari terrieri), “da Biblia” (ultra conservatori neopentecostali) e “da Bala” (fascisti dichiarati che fanno apologia della tortura e del regime militare). Il governo poi aveva anche un relativo sostegno popolare basato sulla popolarità del precedente presidente, Luis Ignácio Lula da Silva, e una bassa capacità di manovra in parlamento a causa di interessi corporativi. La vittoria di Roussef per un secondo mandato intensificò il conflitto e fu segnato dalla rottura della coalizione con il partito di centro destra: il PMDB, da dove proveniva il vice presidente Michel Temer. La rottura tra Temer e Roussef all’inizio del 2016 avrebbe dovuto significare l’uscita del PMDB dal governo e la perdita della vicepresidenza. Ma, al contrario, segnò un patto esplicito del partito di Temer con il presidente del Congresso nazionale, che portò all’impeachment di Roussef, formalmente accusata di aver stanziato risorse per l’agricoltura familiare e per un programma per combattere la fame senza consultare il Congresso. Il Supremo Tribunale Federale accompagnò il movimento e consolidò quello che fu descritto dal senatore alleato di Temer Romeo Jucà: “Un grande accordo con il Supremo, con tutto”.

Il giorno in cui Michel Temer è entrato in carica è stata abolita la Segreteria Nazionale per la Promozione dei Diritti Umani, insieme al Ministero della Cultura e alla Segreteria per l’uguaglianza razziale e i diritti delle donne. Però, grazie alle forti e immediate proteste, successivamente questi organi sono stati istituiti di nuovo anche se depotenziati e guidati da persone approvate dal gruppo BBB, e dunque assolutamente non rappresentativi dei movimenti sociali.

La stampa internazionale e quella indipendente hanno poi messo in luce il coinvolgimento dell’attuale presidente e dei suoi sostenitori in reati di vario genere, oltre che le manovre poco lecite per ostacolare le indagini a loro carico. Le denunce più gravi a carico di personaggi e figure politiche appartenenti alla sua cerchia sono degne di una fiction su una narcorepubblica. Nel 2017, infatti, un aereo pieno di cocaina viene intercettato mentre decolla dalla tenuta del Ministro dell’agricoltura. Ancora, nello stesso anno, in un appartamento dell’ex Ministro della Segreteria del governo Temer vengono trovate diverse valige piene di soldi.

A questo scenario si aggiunge la politicizzazione del potere giudiziario, alla mercè del potere politico e della attuale classe dirigente.  Anche la seconda forza che ha sostenuto il golpe, il PSDB, fa parte della crociata contro gli ex membri del governo di Lula e fa pressione sugli organi giudiziari. Si è infatti aperto un procedimento a carico dell’ex presidente Lula, predecessore e sostenitore di Dilma, accusato di aver ottenuto un appartamento donatogli da una società di costruzioni. Anche se 72 testimoni e le prove documentali negano l’accusa, Lula è stato condannato in primo e secondo grado e, fino a ora, il Supremo Tribunale si è sempre rifiutato di prendere in considerazione il ricorso degli avvocati dell’ex presidente.  Il suo arresto può dunque avvenire da un momento all’altro. Ciononostante Lula guida la classifica sulle intenzioni di voto per le elezioni presidenziali di quest’anno. Se i sondaggi fossero confermati, dovrebbe vincere al primo turno. Persino da condannato, e forse proprio per questo, la sua popolarità è in aumento tra gli elettori.

La Costituzione è stata inoltre riformata dal nuovo governo. Gli investimenti per l’educazione e la salute sono stati bloccati per 20 anni. I programmi per combattere la fame sono stati disarticolati, estinti o hanno visto una drastica riduzione delle risorse a loro assegnate. La riforma del lavoro ha inoltre rimosso storici diritti, aprendo la strada al precariato. Solo la grande mobilizzazione dei movimenti sociali e dei sindacati è riuscita a impedire la votazione della riforma della previdenza sociale al Congresso. Per questo i membri del Congresso sono preoccupati per le elezioni parlamentari, anch’esse previste per quest’anno. Marielle Franco e il suo partito, il PSOL, hanno partecipato attivamente a questa pressione popolare.

Altro aspetto preoccupante è l’annuncio di un intervento militare nello Stato di Rio de Janeiro fatto dal governo di Temer lo scorso 14 febbraio e giustificato come “Garanzia della Legge e dell’Ordine”. La crisi finanziaria dello Stato, aggravata dal taglio delle risorse da parte del governo federale, ha colpito i servizi pubblici a Rio de Janeiro. Tra questi la sicurezza pubblica, specialmente la polizia militare, storicamente corrotta e coinvolta in massacri e abusi, soprattutto nelle periferie e nelle favelas. In pratica, oggi la sicurezza di Rio de Janeiro è sotto il comando di un generale dell’esercito nominato dal governo Temer. L’impopolarità del governatore di Rio, comparabile solo a quella del presidente, è stata usata da Temer per presentare l’intervento militare come un mezzo di emergenza che sarà in vigore almeno fino al 31 dicembre 2018. Prima dell’intervento però non si era verificato un aumento dei tassi di criminalità a Rio de Janeiro. Un mese dopo il suo insediamento invece non c’è ancora un piano definitivo né si riscontra una riduzione dei tassi di violenza. Inoltre, per legge durante l’intervento lo Stato non può tenere votazioni di emendamenti alla costituzione. I parlamentari sono sollevati dal votare nuove riforme in quanto il governo controlla il parlamento. E non devono temere risultati elettorali sfavorevoli a causa del loro sostegno al governo. La grande paura dei movimenti sociali e dei partiti che si oppongono al golpe è che l’intervento finisca per prorogare lo stato di emergenza, presentato come emergenza di sicurezza, e per ritardare le elezioni ed estendere i mandati dei parlamentari e dello stesso Temer.

Lo scenario sin qui descritto – che è quello contro cui la consigliera Marielle Franco si batteva – è tragicamente e cinicamente usato dal presidente Temer e dai media per giustificare la continuazione dell’intervento militare.

Marielle è stata uccisa con quattro colpi in testa. Nell’attentato è stato ucciso anche il suo autista Anderson Gomes. Tornavano da una riunione di giovani donne di colore. Mentre le prime indagini mostrano il coinvolgimento dell’esercito brasiliano, che avrebbe comprato le munizioni per questo omicidio politico, il Ministro della Difesa ritiene invece che le stesse siano state rubate in un ufficio postale. Versione, decisamente improbabile, già negata dall’ufficio postale.

Sui social network si sono scatenati numerose autorità e finti profili guidati dai gruppi di estrema destra per screditare Marielle e la sua eredità, accusandola di essere stata eletta dai narcotrafficanti. Si tratta di una dimostrazione dei peggiori pregiudizi che vengono manipolati per distillare la paura in odio. La verità è che Marielle ha difeso energicamente i diritti umani di tutti, compresi gli agenti di polizia e le loro famiglie trascurate dalla polizia.

Se gli assassini di Marielle hanno voluto lasciare un messaggio, questo è rivolto a coloro che lei rappresentava come personaggio pubblico e come persona. Per il suo profilo e come militante. Questa violenza viene proprio dagli interessi ai quali lei si è opposta. Viene dalla tradizione che ha contrastato. In questi giorni, ogni brasiliano e brasiliana che sta manifestando nelle strade delle diverse città del Paese e del mondo condanna tale crimine politico, chiede giustizia e denuncia il golpe, nel cui contesto di violenza istituzionale si afferma lo Stato di Eccezione in Brasile. Qualcosa che nelle parole del filosofo italiano Giorgio Agamben ci avvicina al totalitarismo:

“Il totalitarismo moderno può essere definito, in questo senso, come l’instaurazione, attraverso lo stato di eccezione, di una guerra civile legale, che permette l’eliminazione fisica non solo degli avversari politici, ma di intere categorie di cittadini che per qualche ragione risultino non integrabili nel sistema politico. Da allora, la creazione volontaria di uno stato di emergenza permanente (anche se eventualmente non dichiarato in senso tecnico) è divenuta una delle pratiche essenziali degli Stati contemporanei, anche di quelli cosiddetti democratici”[1].

Gli abitanti delle favelas, neri e nere, donne, gay, popolazione povera e non protetta dai diritti del lavoro sono considerati come i non integrabili. La brutale morte di una sua rappresentante evidenzia la base di disuguaglianza che sottende la concezione statale in Brasile. E nessun difensore dell’uguaglianza è al sicuro. In generale però, né il metodo di controllo, né il profilo del non integrato sono un’esclusiva dell’esperienza brasiliana. Per questo motivo Marielle è più grande di Rio, più grande di questo momento e significativamente più grande del Brasile. Le reazioni alla sua morte si prospettano come una sfida per la giustizia e la democrazia.

[1] AGAMBEN, Giorgio. Estado de Exceção. São Paulo, Boitempo, 2004. Pp13.

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