Le chiavi. Avete mai provato ad immaginare il potere simbolico di questo oggetto? Forse no. Perché nel nostro immaginario è una cosa del tutto normale, un arnese che hanno e usano tutti. Ma non è così. E te ne accorgi soltanto quando quelle stesse chiavi rappresentano la fine temporanea di un sogno. O meglio, di una storia vera, fatta di persone, progetti e speranze. Domenica 21 giugno, in concomitanza con l’arresto di Luigi Cuccaro, boss di Camorra, a Ponticelli un ragazzo di ventitré anni consegnava le chiavi al proprietario della struttura, che fino a pochi giorni fa costituiva il luogo di rinascita per molti giovani del quartiere. Questo ragazzo si chiama Vincenzo De Luca Bossa (tra l’altro omonimo del clan camorrista attivo a Ponticelli), ed è il presidente di Terra di Confine.
“Mi basterebbe essere padre di una buona idea”, canta Niccolò Fabi. Ecco, l’idea c’è. Un’associazione. Un’organizzazione di volontariato. Sono una ventina di ragazzi, uniti da un desiderio: fare in modo che i giovani non vedano Ponticelli come un luogo in cui si nasce e poi si scappa, in cerca di un futuro diverso, felice. Vogliono creare loro stessi i centri di aggregazione e i servizi sociali che mancano nel quartiere. Quartiere che sognano Vivo. Capace di offrire opportunità. Capace di dialogare ed educare gli adolescenti, sperando che un domani possano far parte anche loro dell’Italia migliore. La chiamano Terra di Confine. “Terra di Confine perché noi siamo al “confine” tra le zone della Napoli metropolitana e quella periferica e paesana dell’hinterland. Sia in un senso fisico che in senso culturale”, ci spiega Vincenzo. Ponticelli è un quartiere popolare della periferia del capoluogo campano, abitato da sessantamila persone, e anch’esso, come Barra, ha una percentuale altissima di giovani, tra le più alte d’Italia.
Vincenzo e i suoi compagni hanno iniziato le loro attività portando le band emergenti a suonare a Ponticelli e creando mostre artistiche, sporcandosi anche le mani pulendo le piazze e i parchi degradati del quartiere. Un esempio. Hanno deciso di non restare a guardare, immobili, il lento abbandono della loro zona. Si sono impegnati in prima persona per una causa giusta. Dopo numerose battaglie sociali, sono stati i promotori del Presidio di Libera Ponticelli “vittime innocenti della strage del 1989”. E non può non ritornare alla mente quell’11 novembre 1989: sei morti ammazzati, solo due scelti a bersaglio. Gli altri quattro vittime innocenti uccise per errore da killer di camorra mentre prendevano un caffè. Si chiamavano Gaetano De Cicco, Domenico Guarracino, Salvatore Benaglia, Gaetano Di Nocera, e ogni anno vengono ricordati con una marcia dedicata alla loro memoria. Con il presidio Libera organizzano soprattutto percorsi di legalità con le scuole.
Ma Terra di Confine, che vede la luce sette anni fa, è soprattutto servizio. Volontariato. Solidarietà. Impegno. Questi splendidi ragazzi riescono con l’aiuto del Tribunale dei Minori e dei servizi sociali, a inserire i giovani a rischio in percorsi di didattica alternativa, supporto scolastico, laboratori d’arte e musica. Progetti mai visti prima a Ponticelli, e realizzati da giovani poco più che ventenni. Sono la faccia del quartiere che resiste, che non si piega alla legge criminale spietata della camorra. Sono la bellezza raccontata da Peppino Impastato a Cinisi, che tanto assomiglia ai luoghi oggi più sfortunati d’Italia. Terra di Confine ha anche una sua linea editoriale, con il quale riesce a supportare i giovani talenti artistici della zona; hanno una rivista di nome “Antonio – Una Rivista”, che riesce ad unire, per mezzo della satira e di uno stile tragicomico, fumettisti, scrittori e illustratori, con l’obiettivo di riportare al centro della scena l’arte e la cultura, e di rendere quest’ultime alla portata di tutti.
Tutto questo lo hanno realizzato fino a pochi giorni fa in una struttura privata, “poiché l’intenzione del gruppo – spiega Vincenzo – era quella di non attendere i disagi e le cecità delle istituzioni ma rappresentare un punto di riferimento stabile per il territorio”. 700 euro di affitto, raccolti grazie alle donazioni. Ma ora hanno deciso di non mettere più questi soldi nell’affitto mensile dei locali a loro disposizione, perché vogliono aumentare il numero di educatori professionisti. “Abbiamo chiesto al Comune – prosegue Vincenzo – una struttura da affidarci, in condizione di totale abbandono, che possiamo mettere totalmente a nuovo e far divenire un luogo di aggregazione ed educazione stabile. La burocrazia ancora ci sta facendo attendere”. Soltanto leggendo queste affermazioni, si può scorgere la forza di volontà e il sogno costante di questi ragazzi, fiori all’occhiello di un quartiere che vorrebbe rinascere, ma cui vengono negate le risorse e le forze. Come può uno Stato dichiararsi forte e vincente contro le mafie, se zone intere vengono lasciate allo sbando e in balia di se stesse? Perché, anziché incentivare e promuovere associazioni come Terra di Confine, le Istituzioni si dimostrano lente, confuse e spesso inadeguate al loro ruolo primario di servizio alla collettività? Per questo servono delle chiavi. Le chiavi di un palazzo di speranza e di sogni. Che diventano realtà.