Non è uno scherzo. Il pool di Palermo impegnato nel processo sulla trattativa Stato-mafia è stato quasi totalmente azzerato da una circolare del Consiglio Superiore della Magistratura del 5 marzo scorso. Tutte le nuove inchieste sulla mafia dovranno essere affidate esclusivamente a chi fa parte della DDA, la Direzione Distrettuale Antimafia, così recita la circolare che ha come unico risultato quello di distruggere il lavoro d’insieme, l’impegno di squadra. Dei quattro bravi magistrati che cercano di far luce sulla stagione delle stragi del 1992-1993 ne rimarrà soltanto uno che potrà continuare le indagini, il coordinatore del pool e procuratore aggiunto Vittorio Teresi. E gli altri? Francesco Del Bene potrà continuare il suo lavoro fino al primo giugno, quando anche il suo incarico decennale nella Dda scadrà definitivamente. Per Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo, invece, non ci sarà nulla da fare. Tartaglia non è ancora entrato nella Direzione Distrettuale Antimafia, mentre Di Matteo non ne fa più parte da quattro anni.
Nessun nuovo fascicolo antimafia, dunque, potrà essere gestito da chi non fa parte della direzione distrettuale, “salvo casi eccezionali”. E questi casi limite riguardano particolari settori quali i “delitti contro l’economia, la pubblica amministrazione, la salute e l’ambiente”. Oppure quando tutti i componenti della Dda avranno dei carichi di lavoro sufficientemente elevati che impediranno loro di svolgere ulteriori e differenti indagini. Ora non sappiamo su quali indagini il procuratore di Palermo Francesco Messineo traghetterà Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo, i due magistrati esclusi dalle indagini. Non potranno nemmeno più continuare a svolgere una serie di accertamenti che li hanno visti protagonisti negli ultimi mesi: dopo aver recuperato negli uffici dei servizi segreti italiani una ricca documentazione, infatti, i due magistrati siciliani stavano anche cercando di chiarire il mistero di Falange Armata, la sigla che rivendicava attentati e omicidi passati e che era ricomparsa in una lettera spedita a Totò Riina, nella quale gli si intimava di chiudere la bocca. Niente di tutto ciò potranno più fare.
Ma perché? Che senso ha smantellare un gruppo di lavoro affiatato che ha dedicato a questo processo impegno e dedizione? Il pool di Palermo degli anni novanta fu distrutto dal tritolo mafioso e ora il nuovo pool, che con le proprie indagini ritorna a quelle stragi, viene smembrato da una circolare legale del più alto organo della magistratura italiana. Proprio qualche giorno fa abbiamo assistito alla trattativa tra un prefetto (inviato dal questore) e un capo ultrà, figlio di un camorrista, per fare iniziare un evento sportivo. Uomini in divisa, rappresentanti dello Stato, che scelgono di venire a patti con la malavita.
Ma proprio quando un gruppo di persone sta cercando di dare una verità storica e giudiziaria a quella cupa stagione, qualcosa interviene a rendere difficoltoso il processo. Sembra che tutte le battaglie e tutte le lotte svaniscano in un lampo con un decreto o una circolare. Sembra che tutte le grida dei cittadini onesti che chiedono a gran voce il rispetto delle regole vadano perse nel vuoto. Sembra che l’impegno a contrastare la criminalità organizzata sia destinato ad essere soltanto una bellissima utopia. È difficile restare ottimisti e credere in un futuro migliore quando, ogni qualvolta ci si trovi vicini alla verità, le Istituzioni (o chi per esse) hanno paura di mostrare il loro passato o non hanno il coraggio di intraprendere per sempre una lotta incondizionata contro la mafia. Mai mi chiederò nella vita se ne fosse valsa veramente la pena di combattere per questa causa, ma sappiate che così facendo uccidete la speranza di molti. Se ci tenete davvero a far sì che questa non sia l’ennesima aspettativa tradita, ripensateci. E dite che è stato solo un bruttissimo scherzo.