di Alessandra Venezia e Demetrio Villani
Settima udienza del processo Caccia: la testimonianza di Placido Barresi, esponente di rilievo della ‘ndrangheta piemontese, assolto nel processo del 1989 e in condizione di semilibertà dal 2011, dopo la sua dissociazione dalla realtà criminale-mafiosa.
Milano, 23 novembre. Sono le 9.30 e ha inizio la settima udienza del processo Caccia. Presiede la Corte il giudice Ilio Mannucci, presenti gli avvocati Foti e Anetrini per la difesa dell’imputato Schirripa, il pm Tatangelo, l’avv. Repici per i familiari del magistrato e gli avvocati in rappresentanza della Regione Piemonte, della Città di Torino e del Ministero di Grazia e Giustizia.
L’aula della Corte d’Assise è più affollata del solito: oltre a Paola Caccia, ai familiari dell’imputato e ai volontari di Libera Milano e Piemonte ci sono infatti le truppe Rai di Chi l’ha visto. Protagonista dell’udienza è Placido Barresi, uno dei boss più importanti della Torino degli anni ’70 e ‘80. Nel 2011 si è dissociato dal mondo criminale, ha cioè deciso di incominciare a parlare dei crimini commessi, senza però esplicitare i moventi e fare i nomi dei suoi complici. Questo gli ha permesso di ottenere la semilibertà: dal 2011 esce dal carcere ogni mattina, va a lavorare in un bar in centro a Torino e alle 23.00 torna fra le sbarre per la notte. Entra in aula insieme alla sua avvocata, sostituta dell’avv. Palumbo, ha una valigetta per i documenti e le scarpe da ginnastica. Si esprime molto bene in italiano (ha addirittura scritto un libro di poesie) e la sua cadenza calabrese è lieve, forse perché vive al nord dall’età di otto anni. Prima che inizi l’interrogatorio Barresi chiede di non essere ripreso e poi giura, vincolandosi a dire la verità qualora decida di rispondere alle domande, salva ovviamente la possibilità di avvalersi della facoltà di non rispondere.
È il pm ad aprire le danze dell’interrogatorio. Barresi collabora, risponde alle domande sui suoi rapporti con Domenico Belfiore – suo cognato nonché socio in affari – e dichiara di essere sempre stato estraneo ai piani sull’omicidio del magistrato. Anche di fronte alla provocazione del pm, che riporta la testimonianza del collaboratore Vincenzo Pavia sulla sua partecipazione agli incontri preparatori per l’omicidio Caccia, Barresi mantiene la calma: “Sono stato sempre un bandito nella vita ma, per la mia cultura, non ho mai nemmeno pensato di attaccare lo Stato!”. L’interrogatorio procede e Barresi risponde anche alle domande su Schirripa – confermando la versione di un rapporto occasionale fra lo stesso Schirripa e Belfiore – e sulla lettera anonima ricevuta dalla polizia. Le sue risposte si dimostrano coerenti con quelle risultanti dal verbale di un precedente interrogatorio, il 26 gennaio 2016. Giunti all’analisi delle intercettazioni emerge subito una discrepanza rispetto alla testimonianza di Belfiore (al quale erano stati presentati i medesimi documenti): mentre Belfiore aveva dichiarato di non sapere chi fosse il Rocco di cui discutevano al telefono, Barresi ne indica senza esitazione il cognome. Si tratta di Rocco Schirripa, che, fra le sbarre, è inquieto, si alza in piedi, consulta continuamente i propri avvocati e cerca persino di attirare l’attenzione dei giornalisti. È evidente che, diversamente dalle precedenti udienze, questa volta ha paura. In fondo Barresi sta confermando tutte le accuse che lo riguardano.
Subito dopo, alla richiesta di giustificare la preoccupazione che caratterizza la sua persona nelle intercettazioni, Barresi parla di una preoccupazione personale, dovuta al timore di essere coinvolto in una situazione a lui estranea e di perdere così la semilibertà. “Ma se è vero che lei era estraneo ai fatti sull’omicidio Caccia, perché non ha mai chiesto a Belfiore delle spiegazioni a riguardo? Forse non sono domande da fare in un ambiente criminale?” incalza il pm. Barresi tace, guarda in basso e annuisce. Verso la fine dell’interrogatorio Barresi è stanco e poco lucido. Come con Belfiore nella precedente udienza, anche qui si susseguono una serie di “non ricordo, non so”.
È poi il turno dell’avv. Repici, che rappresenta i familiari del magistrato Caccia. Dopo aver chiesto di visionare il verbale del 26-01-2016 e aver posto a Barresi generali domande sul suo rapporto con il magistrato Caccia (se conoscesse per esempio il suo indirizzo o avesse mai partecipato a sopralluoghi) Repici sposta ancora una volta l’attenzione sulla questione dei moventi e delle responsabilità connessi all’omicidio, concentrandosi in particolare sulla figura di Gonella e sul suo rapporto con alcuni magistrati. L’avvocato viene subito interrotto, sia dalla mancata collaborazione di Barresi nel rispondere sia dai richiami del giudice Mannucci, che lo invita ad attenersi all’argomento del processo.
Sono le 15.30 e, a causa di un precedente impegno del giudice, l’udienza è sospesa. Nel corso della prossima (30 novembre alle ore 9.30) avverrà il riesame di Barresi da parte dell’avv. dei familiari e della difesa. Sarà interessante l’interrogatorio di Anetrini, l’avv. della difesa che più volte durante questa udienza ha accusato il pm di “pericolosa contaminazione delle risposte di Barresi”. Lo stesso giorno saranno poi sentiti Angelo Epaminonda (in attesa di conferma), Mario Ursini e Roberto Miano, tutti famosi esponenti dalla ‘ndrangheta al nord.