Corte d’Assise del Tribunale di Milano, 8 luglio ore 9.30 – Seconda udienza del Processo Lea Garofalo. Pochi i parenti degli imputati presenti in aula. Due ragazze penetrano con gli occhi fin dentro la gabbia, attendendo di incrociare lo sguardo di un padre, uno zio, un amico o un fratello.
Tutti presenti gli imputati Carlo Cosco, Giuseppe Cosco detto Smith, Vito Cosco detto Sergio, Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino; stessa tenuta dell’udienza precedente: scarpe da tennis, jeans e maglietta, di uno sgargiante color cremisi per Carmine Venturino – ex fidanzato di Denise Cosco.
Compaiono anche le telecamere stavolta. Alla richiesta di autorizzare le riprese i parenti bisbigliano, fanno gesti di dissenso: una ragazza dai capelli scuri volge lo sguardo verso uno degli imputati, fa segno di no con mani e bocca. Gli imputati non vogliono essere ripresi, il cameraman avrà cura di inquadrare nel suo obiettivo tutti meno che loro.
In apertura la parola va alle difese. Le repliche dei legali di Rosario Curcio, di Giuseppe e Vito Cosco vengono interrotte dal presidente che sollecita gli avvocati a fare esclusivamente “osservazioni sulle richieste dichiarative e documentali fatte dal pm” nella precedente udienza. Solo il legale di Carlo Cosco introduce nuovi elementi: facendo riferimento all’allegato contenente le dichiarazioni rilasciate da Lea Garofalo dal 2002 al 2009, afferma di considerare tali atti dichiarativi “non pertinenti al tema attuale” e “di dubbia rilevanza dal punto di vista logico e processuale”. Le dichiarazioni della donna – relative ai traffici di stupefacenti delle famiglie di Petilia Policastro e ad alcuni omicidi – non sono, infatti, “mai confluite in alcun atto giudiziario pubblico”.
La parola passa al Pubblico Ministero Marcello Tatangelo che propone l’analisi di sei intercettazioni ambientali, due delle quali in dialetto napoletano. Avendo le parti acconsentito all’uso dei registri, viene chiamato a prestare giuramento un perito al quale il presidente affida “l’incarico di trascrivere le intercettazioni telefoniche ed ambientali dell’elenco esposto dal pm, autorizzando il medesimo ad avvalersi di eventuali ausiliari” e a “inserire nelle stesse le indicazioni degli interlocutori” entro la conclusione dei lavori, ossia 90 giorni a partire dal 12 luglio.
L’orologio segna le 12, l’udienza sta per volgere al termine e il giudice si affretta a comunicare le prossime date dell’iter giudiziario. Nel corso della terza udienza, prevista per il 20 settembre, saranno interrogati alcuni testimoni, come richiesto dal pm: forze dell’ordine, parenti vicini e lontani, amici, colleghi, collaboratori di giustizia. Tra questi, non si ritiene opportuno ascoltare Salvatore Sorrentino in quanto “il testimone è già stato ascoltato nel corso dell’incidente probatorio”. La questione è di particolare rilevanza in quanto Sorrentino si trova in una situazione piuttosto scomoda: a causa delle sue dichiarazioni sta subendo minacce di morte. Pertanto, chiamato nuovamente a testimoniare “potrebbe fornire una versione dei fatti completamente diversa dalla precedente”.
La seduta è tolta. Le forze dell’ordine attendono che l’aula si svuoti quasi del tutto per condurre fuori dalla gabbia gli imputati. Ad attenderli i parenti, in netta prevalenza donne, molte di loro giovanissime. Pochi minuti per scambiare qualche disinvolto abbraccio. Quei volti che si incontrano dopo una lunga separazione, in un misto di gioia e malinconia, paiono voler cancellare la lontananza forzata a colpi di sorrisi, occhiate e parole d’intesa.