lea garofaloUn’udienza lunga, quella di lunedì 20 febbraio, come l’elenco dei testimoni convocati dalle difese: in dieci sono saliti al banco a prestare giuramento. Ricorrenti alcune domande tese ad indagare l’odio esistente fra i due fratelli imputati Vito e Giuseppe Cosco, l’abitudine di Giuseppe Cosco di intrattenersi presso il bar Barbara giocando alle macchinette, la gelosia della convivente Plado Renata e i loro frequenti litigi, la sera del 24 novembre, ricordata da molti non come quella della scomparsa di Lea Garofalo ma come “la sera della partita di Champion’s League”: una storia tutta italiana.

Due deposizioni però si sono distinte dalla media della giornata, quelle di Domenico Megna e di Pasquale Nicoscia, i due “gerarchi” ‘ndranghetisti a cui – stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese – Carlo Cosco avrebbe chiesto, nel 2001 presso il carcere di Catanzaro, il consenso per l’uccisione di Lea Garofalo. Questo per evitare ritorsioni da parte di familiari della Garofalo, in particolare del fratello Floriano Garofalo, morto ammazzato l’8 giugno 2005. Entrambi i testimoni sono in galera, Megna ha una condanna a 26 anni e sei mesi per associazione a delinquere di stampo mafioso, Nicoscia ha più ergastoli per omicidi e per associazione a delinquere semplice. Entrambi hanno dichiarato di essere innocenti. Entrambi hanno dichiarato che non sanno nulla di quanto ha riferito il collaboratore Cortese: conoscono Carlo Cosco ma perché mai avrebbe dovuto chiedere qualcosa a loro, “manco è nostro compaesano” ha asserito Domenico Megna. Il quale, alla domanda dell’avvocato difensore Daniele Steinberg, che motivava la richiesta di Carlo Cosco con la regola dell’onore della ‘ndrangheta, ha risposto “sarà una regola della ‘ndrangheta di Cortese”. E alla domanda se conoscesse tali regole ha preferito rispondere col silenzio, prima, e, poi, invitando a chiederle a Cortese.

Ma la protagonista indiscussa della giornata è stata Plado Renata. Un po’ impacciata dal gesso, si è dichiarata favorevole ad essere ripresa dalle telecamere e durante l’interrogatorio ha dato l’idea che  tenesse uno show: è stato il suo momento. Da 23 anni convivente di Giuseppe Cosco; da cinque mesi e mezzo in custodia cautelare perché ha spacciato “qualche volta qualche mezzo grammo di cocaina” come ha asserito la teste. Strana affermazione, soprattutto se associata ad una precedente in cui negava di sapere che il convivente Giuseppe Cosco spacciasse cocaina. Fu una grandissima amica di Lea Garofalo e una zia amata da Denise Cosco, enorme la complicità fra loro due: fumavano insieme le sigarette, tenendolo nascosto alla mamma e agli zii. Piccolo particolare, quando Lea Garofalo arriva per l’ultima volta a Milano non la va a salutare e la nipote Denise non le dice nulla.

Precisissima nel ricordare, meglio di un disco fisso da un terabyte di memoria, aggiunge elementi ai suoi racconti, quale la coincidenza di tale evento con un suo parto o ciò che comprò al supermercato con Denise. In mezzo a tutto quel parlare, immagini che fanno riflettere, come il racconto di quando Lea Garofalo nell’ottobre 1996 prese la sua decisione e “baciò per terra in viale Montello 6 dicendo che non ci sarebbe più tornata”. O, ancora, quello provocato dall’avvocato dei familiari di Lea Garofalo, Roberto D’Ippolito, il quale ha chiesto alla teste cosa sapesse dell’omicidio di Comberiati Antonio, svoltosi proprio nel cortile del civico 6 di viale Montello, il 17 maggio 1995. Omicidio raccontato da Lea Garofalo nelle sue dichiarazioni, in cui accusa i fratelli Cosco. Plado Renata ha spiegato come Carlo Cosco nulla avesse contro l’ucciso e che invece fu Lea Garofalo ad avervi litigato (litigio riportato anche nelle dichiarazioni della Garofalo; ndr). Ha raccontato inoltre come il giorno dopo, lei e Lea Garofalo, “passarono accanto alle macchie del sangue di quest’uomo e lei ci sputò sopra e disse ‘Bastardo’”.

Nel corso dell’interrogatorio della testimone si è avuto un ulteriore racconto dei giorni del 24 e del 25 novembre 2009. Un dato interessante che è emerso, se accostato a quello riferito da altri due testimoni, è che Plado Renata ha sostenuto che il convivente Giuseppe Cosco avesse passato la serata del 24 novembre 2009 prima al bar Barbara a giocare alle macchinette e poi al bar Drago Verde in compagnia di Toscano Carlo.

Dato confortato dalla testimonianza di Francesco Ceraudo, classe 1990, cugino di secondo grado di Lea Garofalo. Il teste ha affermato di aver visto Denise il 24 novembre 2009 e quella sera di aver notato Giuseppe Cosco al bar Barbara in compagnia di Toscano Carlo. Il pm Marcello Tatangelo ha contro-interrogato il teste chiedendogli conferma circa la sua presenza a Milano il 24 novembre: Denise Cosco infatti asserì di averlo visto solo il giorno successivo, il 25 novembre. Il Pubblico Ministero gli ha chiesto se ne fosse sicuro e se non vi fosse la possibilità che “dal 22 e nei giorni successivi fino al 25” fosse stato a Genova dalla madre, ottenendo una risposta negativa: il teste si è detto sicuro delle sue affermazioni. Finita la testimonianza è andato a posizionarsi fra il pubblico intrattenendo una  fitta comunicazione tramite gesti con gli imputati che, salvo codici diversi dalla norma, ripetutamente gli hanno fatto il segno di “ok, tutto bene”.

L’ultimo testimone della giornata è stato proprio Toscano Carlo, amico dei Cosco, ha precedenti penali per associazione a delinquere semplice, il quale ha confermato di aver passato la serata del 24 novembre in compagnia di Giuseppe Cosco. Indagati, da parte del PM, i suoi legami con Toscano Silvano, detentore in seconda con Caraudo Tommaso dell’attività di spaccio nella zona viale Montello-piazza Baiamonti, stando proprio alle dichiarazioni rilasciate da Lea Garofalo. E sempre secondo quelle dichiarazioni uccisi entrambi da Comberiati Antonio il 30 novembre 1994. Il teste Toscano Carlo ha affermato che Toscano Silvano era sua nipote.

Carlo Cosco poco dopo ha deciso di parlare e, direttamente dalla cella, ha ricordato come in questo processo “noi vogliamo la verità su Garofalo Lea, mica su tutto”. A questa dichiarazione ne è seguita una dell’imputato Massimo Sabatino che, dal banco dei testimoni, ha letto una dichiarazione scritta in cui chiede che vengano ascoltate le registrazioni dei suoi interrogatori e non siano solo letti i verbali, poiché in esse sarebbe possibile rintracciare il suo animo spaventato. L’imputato ha asserito che gli sembrava “che si volesse dire a tutti costi delle cose su circostanze non vere durante gli interrogatori.”

Prossima udienza lunedì 27 febbraio ore 9.30.

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