Quattro capitoli per quattro storie. Quattro Uomini soli per un’unica trama. Un unico messaggio, più che altro. Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Nell’anno, rispettivamente, del trentennale e del ventennale, questo libro rappresenta un inno alla memoria storica, denuncia il vuoto di verità che ancora avvolge la loro morte e porta con sé un appello, un grido di speranza.
Arrivi in fondo che ti manca il respiro. In parte per lo stile di Attilio Bolzoni, scorrevole, incalzante, graffiante, giornalistico. In parte per le sensazioni di disarmo, rabbia e impotenza che hanno la meglio non appena leggi le ultime righe di testo. Duecentoundici pagine che si bruciano in un giorno, volendolo. Duecentoundici pagine che raccolgono informazioni già note, anche al grande pubblico, ma in modo inedito. Bolzoni, nel libro, alterna momenti di ricostruzione storica a passaggi autobiografici e stralci di articoli scritti quando faceva il corrispondente palermitano per La Repubblica. Il cambio di registro è percepibile emozionalmente, ma soprattutto è visibile perché segnato da un carattere grafico diverso. L’effetto è quello conturbante di trascinare il lettore in un vortice fatto di piani, linguaggi e sentimenti non sempre armonici, anzi forse volutamente distonici, come ad assecondare gli sbalzi emotivi dell’autore stesso nel saltare dalla cronistoria per definizione fredda (anche se qui, a dire il vero, sempre molto calda) al ricordo personale di uno sguardo, di una stretta di mano, di un pranzo condiviso, di un assassinio doloroso più di altri.
Via via leggendo emerge dentro il lettore lo sconforto per uno Stato che non riesce a fare giustizia, a differenza di Cosa Nostra: «In Sicilia l’altra giustizia non perdona»; «Anche la giustizia, a Palermo, è amministrata da Cosa Nostra». Via via leggendo, poi, esplode in sé la sensazione che questo Paese, specialmente la sua classe dirigente, non riesca a capire che la mafia non è più – se mai lo è stata – un’emergenza. Semmai, come recentemente ha affermato la prof.ssa Silvia Buzzelli, un’urgenza che richiede un impegno non emergenziale ed estemporaneo bensì sistematico e continuativo. In questo senso, Bolzoni riporta la nomina del generale dalla Chiesa a Prefetto di Palermo subito dopo l’assassinio di Pio La Torre, l’approvazione della legge Rognoni-La Torre sul reato di associazione mafiosa di pochi giorni successiva alla strage di Via Carini e il conferimento a Emanuele De Francesco dei poteri «che hanno sempre negato al generale». Via via leggendo, infine, non si può fare a meno di notare come, in questa sciagurata Repubblica, chi abbia fatto onestamente il proprio dovere sia (stato), di fatto, «un tipo pericoloso», un uomo da isolare. «E’ un italiano fuori posto in Italia». Non a caso, come si legge anche nel libro Cose di Cosa Nostra, Giovanni Falcone e Carlo Alberto dalla Chiesa sono concordi nel dire che «la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere», bensì li ha isolati, stigmatizzati, a tratti persino demonizzati.
Palermo nel 1982 era «dannata … prigioniera … infida». Questo climax ascendente elaborato da Bolzoni richiama alla mente una riflessione di Letizia Battaglia, riportata nell’omonimo libro di Giovanna Calvenzi. Afferma la Battaglia che Palermo è sporca, letteralmente e metaforicamente, perché le persone non fanno il loro dovere. Il libro di Bolzoni sembra per certi versi raccogliere e comunicare questo messaggio: se chi doveva (non) avesse fatto, molto probabilmente la Storia di questi ultimi tre decenni sarebbe un’altra storia. Palermo non è Palermo ma è ogni luogo. Così, il tempo passato deve rappresentare un insegnamento per il tempo futuro. Il libro di Bolzoni assolve in pieno questa funzione di memoria storica e di richiamo alla responsabilità individuale e collettiva. E fa pensare: “mai più quanto è stato”.
Titolo: Uomini soli. Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Autore: Attilio Bolzoni
Casa editrice: Melampo
Anno di pubblicazione: 2012