Lunedì 4 Ottobre presso il teatro Galleria a Legnano davanti ad un numeroso e variegato pubblico ha parlato Salvatore Borsellino invitato dal Movimento 5 Stelle
Braccio alto e agenda rossa in mano. Con un applauso il pubblico accompagna l’ingresso sul palco di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia nel ’92. “Mi sento nudo senza l’agenda”. L’agenda del fratello Paolo è per Salvatore simbolo di rabbia, di volontà di verità e giustizia. Perché per lui la verità sulla strage di via d’Amelio e sulla scomparsa dell’agenda ancora non è stata accertata, anzi. La corte di cassazione assolvendo il capitano Giovanni Arcangioli – accusato della sparizione – “ha messo una pietra tombale sulla verità”. “Ma io continuo a lottare anche se non avrò una verità giudiziaria perché come diceva Pasolini: ‘Io so ma non ho le prove’ ”. È proprio l’invito a non abbandonare la lotta, a non fuggire, a non commettere i suoi stessi errori, il messaggio che Salvatore Borsellino vuole lasciare al pubblico in sala. Perché lui, amareggiato dagli scempi arrecati alla sua amata terra dove fatiscenti costruzioni hanno sostituito le vallate di alberi di limone e aranci – la “conca d’ora” – e dove le strade perdono i loro nomi e vengono ricordate solo come le vie dove sono caduti uomini dello Stato mentre altri negavano l’esistenza della mafia, scappò. Conseguita la laurea è andato al Nord, a Milano. Non solo. Dopo la morte di Giovanni Falcone – il vero fratello di Paolo perché “condividevano gli stessi sogni e la stessa determinazione” – provò anche a convincere Paolo a chiedere il trasferimento, lontano dalla Sicilia. Si sapeva che uccidere Falcone senza eliminare Borsellino non sarebbe servito a nulla poiché quest’ultimo avrebbe lavorato con maggiore vigore “perché Paolo ha fatto tutto per amore, per amore della sua terra, del suo paese”; così come era inutile non far sparire l’agenda, “strumento dei ricatti incrociati della seconda Repubblica”. Ma quando Salvatore telefonò al fratello per spingerlo a lasciare la sua terra il magistrato s’infuriò. “Aveva ragione. Solo ora provo rimorso perché ho capito che fuggire non serviva a niente”. Non ne valse la pena scappare perché la mafia, nata in regioni ad essa abbandonate, come un tumore è entrata in metastasi espandendosi. “Sono fuggito dai mandamenti ma vivo vicino le ‘ndrine”, esclama Salvatore Borsellino ricordando, ancor più amareggiato perché lo aveva inaugurato lui, il circolo di Paderno Dugnano intitolato alla memoria del fratello e di Falcone e luogo di ritrovo dei malavitosi calabresi. Non è accresciuta solo la morsa criminale ma anche l’ignoranza su di essa, simboleggiata dalla negazione della presenza della mafia a Milano da parte dell’ex sindaco Letizia Moratti e dal prefetto Lombardi. Ma il problema oggi è nazionale e istituzionale, continua Borsellino. “Io schifo chi è dello stato ma si mette al servizio della mafia” perché comunque la mafia necessita del potere. Però Borsellino ammonisce a non rigettare in toto le istituzioni ma solamente le persone indegne che vi sono dentro, a tutti i livelli. Evoca dunque la così detta trattativa Stato-Mafia. Quando ne parla è un Borsellino diverso da quello che a sprazzi durante la serata ricorda a testa bassa e con voce fioca i particolari della morte del fratello e di Agostino, Emanuela, Vincenzo, Walter e Claudio, gli uomini della scorta. Nel parlare della trattativa s’infiamma perché secondo lui lo Stato, sull’onda del maxi processo e della reazione dell’opinione pubblica davanti alle morti dei due magistrati siciliani, avrebbe potuto sconfiggere la mafia ma soprattutto perché molti uomini dello Stato “sono più spregevoli perché hanno taciuto” e solo ora davanti ai giudici iniziano a parlare. Borsellino s’arrabbia mentre ricorda il comportamento dell’ex ministro degli Interni Nicola Mancino che nega d’aver conosciuto il fratello e che lui sospetta essere stato un tramite della trattativa. Ripercorre inoltre i rapporti tra Forza Italia, Dell’Utri e Cosa Nostra, divagando anche sui comportamenti del premier per i quali è ora indagato. Di fronte a tutti questi comportamenti della classe politica degli ultimi vent’anni “è necessario rifondare la Repubblica” è l’idea prorompente di Borsellino. “Non bisogna accettare questo paese” esclama il fratello del magistrato, “bisogna sentire il fresco profumo di libertà per cui è morto Paolo”. Ma avverte anche a non sbagliare come lui che scappò e che per anni ha smesso di parlare per rabbia e ha ripreso la speranza solo grazie ai giovani, che oggi definisce “la mia speranza, la mia forza”. Nel finale si appella proprio ai futuri adulti perché si riprendano il paese. Speranza che era anche di suo fratello che il giorno prima di morire scriveva: “Sono ottimista perché vedo che verso di essa (la mafia, ndr) i giovani, siciliani e no, hanno oggi un’attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che mantenni io sino ai quarant’anni”.