Forse la vera notizia non ci sarà. Oggi troverete sicuramente sui giornali l’arresto dell’ex sottosegretario all’economia Nicola Cosentino per estorsione e concorrenza sleale con metodo mafioso. Poi ci saranno le domande e i quesiti politici sull’incontro Renzi-Verdini. Non mancherà, inoltre, l’arrivo della regina Elisabetta a Roma per incontrare il Presidente intercettato Giorgio Napolitano. Infine, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che da Palermo dimostra preoccupazione per il possibile arrivo sulle nostre coste di circa seicento mila immigrati. Ma la notizia del giorno, quella che si dovrebbe raccontare, probabilmente mancherà.
Il 3 dicembre scorso il ministro Alfano promise il bomb jammer (l’apparecchiatura che inibisce l’utilizzo di telecomandi che possano far esplodere bombe a distanza) a Nino Di Matteo, pubblico ministero di Palermo del processo sulla trattativa Stato-mafia, in seguito alle minacce di morte del boss Totò Riina intercettate nel carcere di Opera, a Milano. Questa promessa, ad oggi non mantenuta, ha portato ieri in piazza, in tantissime città italiane, gruppi di persone che, con striscioni, cartelloni e agende rosse, hanno espresso la loro solidarietà ai magistrati siciliani e ricordato al capo del Viminale che ad una promessa seguono i fatti. Da Milano a Torino, da Roma a Trapani, da Venezia a Genova, da Parma a Grosseto, passando per Lecce, Napoli e Reggio Calabria, fino a Bescia, Bergamo e Varese, la città più a nord. Senza dimenticare Palermo, Crotone, Cagliari e Nuoro. Donne e uomini, giovani e meno giovani, lavoratori e pensionati, insieme per rivolgere affetto e gratitudine a delle persone che adempiono onestamente il loro dovere. Trainati dalla forza travolgente del Movimento delle Agende Rosse che da sempre si batte per consegnare al Paese la verità storica delle stragi del 1992-93, questi singoli cittadini hanno fatto la propria scelta. Scendere in piazza fisicamente, pubblicamente, e gridare a tutti, anche a chi si disinteressa o fa finta di non sapere, che “la mafia è una montagna di merda” e che chi la combatte va protetto, con ogni mezzo.
“Prima che sia troppo tardi”, così recita il titolo della manifestazione nazionale che si svolgerà a Roma sabato 12 aprile. Per evitare che si ripetano bagni di sangue, per evitare di sentirsi nuovamente colpevoli di essere stati assenti, la Scorta Civica dei magistrati incarna la definizione di Stato, ossia l’insieme di cittadini. Nessuno abbandona l’altro. Alla solitudine a cui spesso sono lasciate le persone che si trovano a combattere i poteri forti e criminali, è fondamentale dare una risposta diversa. E ieri 3 aprile, in questo senso, è stata una giornata importante: tantissimi onesti cittadini, in contemporanea e da tutta Italia, hanno espresso solidarietà ad un magistrato isolato dallo Stato, perché con la schiena dritta compie il suo mestiere correttamente.
“Lo stato è quello che ci costruiamo noi, con il nostro lavoro”, disse l’avvocato Giorgio Ambrosoli nella Milano inquinata dagli affari sporchi e illeciti del banchiere Michele Sindona. È con l’impegno quotidiano di tutti, dunque, che possiamo aspirare ad un futuro migliore, nel quale la criminalità organizzata sia la prima sfida da combattere. E insieme potremo svegliarci un giorno, pensando di aver contribuito, nel nostro piccolo, al risveglio delle coscienze, di cui bisognerebbe ascoltare anche i bisbigli. Oggi, intanto, “Siamo tutti Di Matteo”.