Foto di Antonio La Valle
Foto di Antonio La Valle

di Myriam Cosco

Nonostante le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, non furono introdotti nuovi corsi sulla mafia nelle università”. Lo afferma il professore Enzo Ciconte in un’intervista rilasciata a Stampo antimafioso. Attualmente il professore Ciconte è docente del “corso di storia delle mafie italiane” all’università di Pavia e fondatore di un modulo di “storia della criminalità organizzata” all’interno di un corso giuridico a Roma 3.

Qual è a suo avviso la sensazione del fenomeno mafioso nei giovani studenti universitari soprattutto in facoltà come giurisprudenza e secondo lei vi è una differente percezione della mafia tra Nord e Sud?

Che ci sia differente percezione tra Nord e Sud è abbastanza evidente. La mafia è un fatto antico è evidente che c’è una maggiore sensibilità e attenzione a questi fenomeni al Sud, fa parte della realtà quotidiana di questi giovani, meno rispetto al passato, ma se non per una questione diretta c’è sempre il ricordo di amici o genitori che raccontano fatti di omicidi e crimini mafiosi. Questa presenza c’è di più al Sud. Al Nord c’è una sensibilità maggiore, che è aumentata in questi anni, su questo non c’è dubbio. Quest’anno è l’ottavo anno che si tiene il “corso sulla storia delle mafie” italiane presso il collegio Santa Caterina da Siena che fa un’offerta formativa all’università di Pavia al quale partecipano studenti di giurisprudenza, scienze politiche, lettere ed economia. Un corso sulle mafie italiane tra gli unici in Italia insieme ai corsi di sociologia della criminalità organizzata del professore Nando dalla Chiesa e il corso di “storia delle mafie” di Isaia Sales.

Può spiegarsi meglio?

Il modulo del corso di storia delle mafie italiane mette in relazione contemporaneamente mafia e storia e le relative differenze che si sono create nel tempo.

Essendo io di origini calabresi, mi rendo conto che spesso la mafia viene percepita come fenomeno positivo e questa concezione è molto radicata non solo nelle persone anziane, ma anche nei giovani che decidono di rimanere nei loro paesi. Secondo lei questa visione sbagliata del fenomeno mafioso è più sviluppata al Sud rispetto al Nord?

Sì, per ragioni storiche sì, anche se questa idea si sviluppa anche al Nord e lo dimostra il fatto che ci sono imprenditori e colletti bianchi che chiedono i servizi dell’ndrangheta.

Quindi negli ultimi ’50 anni, con il boom economico e l’espansione del settore imprenditoriale, l’uso di chiedere “aiuto” alla mafia si è sviluppato anche al Nord?

Mah, ’50 anni è troppo, direi più che da 20-30 anni, l’impresa del Nord e i colletti bianchi hanno iniziato ad avere rapporti con i mafiosi.

Secondo lei come potrebbe l’università, per esempio la facoltà di giurisprudenza, formare giovani professionisti nella conoscenza di questi fenomeni?

Io credo, sia giusto che le università, in particolare quella di giurisprudenza, si aprano a questi corsi. Quindici anni fa, io proposi un corso sulle mafie all’università di Roma 3. Questa università mi fece fare un modulo di un corso di “storia di criminalità organizzata”, perché parlare di “storia delle mafie italiane” era un po’ eccessivo. Al di là della denominazione, nella sostanza parlavo di mafia, ‘ndrangheta e camorra. All’inizio c’erano davvero moltissimi giovani, corsi con 500 iscritti e questo ebbe una risonanza sui giornali nazionali come Repubblica o il settimanale del Corriere della Sera che dedicò un articolo con il titolo “lezioni di mafia”. Le aule piene di studenti che si interessavano di questo fenomeno erano la spinta della generazione di Falcone e Borsellino, tantissimi giovani volevano fare i magistrati dopo le stragi del ’92.

A tal proposito, le stragi di Capaci e di Via D’Amelio hanno influenzato positivamente le università nell’introdurre corsi sulla mafia?

Questo purtroppo non è accaduto, non sono stati introdotti dei corsi nelle università, tranne il modulo del corso di “storia della criminalità organizzata” di Roma 3. Successivamente ci fu il corso fatto all’Aquila che si chiamava “Storia e Sociologia delle organizzazioni criminali”, tenuto per un anno da Francesco Forgione e poi da me per un altro anno. Qualche anno dopo ho fatto un altro corso all’università di Bologna, nella sede di Rimini. Il problema di questi corsi era la loro sporadicità. I corsi più consistenti sono stati invece il modulo del corso di Roma 3, che tuttora è attivo con la denominazione: “diritto e legislazione antimafia” e i corsi tenuti a Milano dal professore Nando dalla Chiesa.

Ma oltre Milano con il corso di “sociologia della criminalità organizzata” del professore Nando dalla Chiesa, a Roma con il modulo “storia della criminalità organizzata” all’interno di un corso giuridico, a Napoli con il corso di “storia delle mafie” tenuto dal professore Isaia Sales, a Bologna con il corso di “Mafia e Antimafia” della professoressa Pellegrini e Torino con il corso di “sociologia della criminalità organizzata”, le altre hanno attivato corsi sulla mafia?

Le altre università hanno fatto solamente qualche seminario, neanche Palermo ha avuto corsi sulla mafia. Penso inoltre che sia bene per i giovani avvocati e magistrati, conoscere la storia delle mafie, perché molti di questi si sposteranno nelle zone del Sud quindi è bene che le imparino precedentemente in linea teorica invece di affrontarle sul campo senza una preparazione adeguata.

Sono d’accordo con lei, penso che questo sia un forte limite che ha la facoltà di giurisprudenza, è impensabile che non venga fornita un’istruzione base sui fenomeni mafiosi anche alla luce di alcuni ruoli, non strettamente connessi all’antimafia ma in ogni caso importanti e delicati come per esempio la magistratura di sorveglianza.

Esattamente.

Come sappiamo la mafia non è solo un problema criminale ma anche sociale poiché si nutre sia di relazioni interpersonali con professionisti sia di consenso sociale. A questo riguardo, secondo lei la presenza di corsi di formazione sul fenomeno mafioso in facoltà differenti da giurisprudenza o scienze politiche, come per esempio architettura, ingegneria, medicina etc…, potrebbero essere utili per la formazione di futuri professionisti maggiormente consapevoli del fenomeno?

Io credo che la storia delle mafie sia utile in ogni facoltà. Dubito però, che concretamente questo possa essere possibile. Credo che nelle università di giurisprudenza oltre che il corso specifico di storia delle mafie, vadano anche proposti dei corsi di storia economica perché ormai le mafie hanno una proiezione diversa rispetto al passato, quando uccidevano e sparavano, oggi fanno attività economica. Quindi penso che sia bene per i giovani studenti avere almeno un’istruzione base.

Alla luce di quanto detto in questa intervista, secondo lei come potrebbe migliorare l’università italiana?

Non conosco molto bene il sistema universitario italiano perché non frequento pienamente l’università. Però penso che l’università si debba attrezzare per rispondere meglio alla società di oggi e debba accompagnare la crescita verso un’Italia completamente diversa da quella di adesso. In questo processo la formazione universitaria è fondamentale altrimenti i giovani non riusciranno a trovare un lavoro e saranno costretti ad emigrare altrove.

Nonostante le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, non furono introdotti nuovi corsi sulla mafia nelle università”. Lo afferma il professore Enzo Ciconte in un’intervista rilasciata a Stampo antimafioso. Attualmente il professore Ciconte è docente del “corso di storia delle mafie italiane” all’università di Pavia e fondatore del “Corso di storia della criminalità organizzata” a Roma 3.

Qual è a suo avviso la sensazione del fenomeno mafioso nei giovani studenti universitari soprattutto in facoltà come giurisprudenza e secondo lei vi è una differente percezione della mafia tra Nord e Sud?

Che ci sia differente percezione tra Nord e Sud è abbastanza evidente. La mafia è un fatto antico è evidente che c’è una maggiore sensibilità e attenzione a questi fenomeni al Sud, fa parte della realtà quotidiana di questi giovani, meno rispetto al passato, ma se non per una questione diretta c’è sempre il ricordo di amici o genitori che raccontano fatti di omicidi e crimini mafiosi. Questa presenza c’è di più al Sud. Al Nord c’è una sensibilità maggiore, che è aumentata in questi anni, su questo non c’è dubbio. Quest’anno è l’ottavo anno che si tiene il “corso sulla storia delle mafie” italiane presso il collegio Santa Caterina da Siena che fa un’offerta formativa all’università di Pavia al quale partecipano studenti di giurisprudenza, scienze politiche, lettere ed economia. Un corso sulle mafie italiane unico in Italia poiché gli altri sono corsi di sociologia come, per esempio, quelli tenuti dal professore Nando dalla Chiesa e Isaia Sales.

Può spiegarsi meglio?

Il corso di storia delle mafie italiane è l’unico nella sua specie perchè mette in relazione contemporaneamente mafia e storia e le relative differenze che si sono create nel tempo.

Essendo io di origini calabresi, mi rendo conto che spesso la mafia viene percepita come fenomeno positivo e questa concezione è molto radicata non solo nelle persone anziane, ma anche nei giovani che decidono di rimanere nei loro paesi. Secondo lei questa visione sbagliata del fenomeno mafioso è più sviluppata al Sud rispetto al Nord?

Sì, per ragioni storiche sì, anche se questa idea si sviluppa anche al Nord e lo dimostra il fatto che ci sono imprenditori e colletti bianchi che chiedono i servizi dell’ndrangheta.

Quindi negli ultimi ’50 anni, con il boom economico e l’espansione del settore imprenditoriale, l’uso di chiedere “aiuto” alla mafia si è sviluppato anche al Nord?

Mah, ’50 anni è troppo, direi più che da 20-30 anni, l’impresa del Nord e i colletti bianchi hanno iniziato ad avere rapporti con i mafiosi.

Secondo lei come potrebbe l’università, per esempio la facoltà di giurisprudenza, formare giovani professionisti nella conoscenza di questi fenomeni?

Io credo, sia giusto che le università, in particolare quella di giurisprudenza, si aprano a questi corsi. Quindici anni fa, io proposi un corso sulle mafie all’università di Roma 3. Questa università mi fece fare un corso di “storia di criminalità organizzata”, perché parlare di “storia delle mafie italiane” era un po’ eccessivo. Al di là della denominazione del corso in sé, nella sostanza parlavo di mafia, ‘ndrangheta e camorra. All’inizio c’erano davvero moltissimi giovani, corsi con 500 iscritti e questo ebbe una risonanza sui giornali nazionali come Repubblica o il settimanale del Corriere della Sera che dedicò un articolo con il titolo “lezioni di mafia”. Le aule piene di studenti che si interessavano di questo fenomeno erano la spinta della generazione di Falcone e Borsellino, tantissimi giovani volevano fare i magistrati dopo le stragi del ’92.

A tal proposito, le stragi di Capaci e di Via D’Amelio hanno influenzato positivamente le università nell’introdurre corsi sulla mafia?

Questo purtroppo non è accaduto, non sono stati introdotti dei corsi nelle università, tranne il corso di “storia della criminalità organizzata” di Roma 3. Successivamente ci fu il corso fatto all’Aquila, tenuto per un anno da Francesco Forgione e poi da me per un altro anno. Qualche anno dopo ho fatto un altro corso all’università di Bologna, nella sede di Rimini. Il problema di questi corsi era la loro sporadicità. I corsi più consistenti sono stati invece quello di Roma 3, che tuttora è attivo con la denominazione: “diritto e legislazione antimafia” e i corsi tenuti a Milano dal professore Nando dalla Chiesa.

Ma sono le uniche università che hanno attivato corsi sulla mafia?

Le altre università hanno fatto solamente qualche seminario, neanche Palermo ha avuto corsi sulla mafia. Penso inoltre che sia bene per i giovani avvocati e magistrati, conoscere la storia delle mafie, perché molti di questi si sposteranno nelle zone del Sud quindi è bene che le imparino precedentemente in linea teorica invece di affrontarle sul campo senza una preparazione adeguata.

Sono d’accordo con lei, penso che questo sia un forte limite che ha la facoltà di giurisprudenza, è impensabile che non venga fornita un’istruzione base sui fenomeni mafiosi anche alla luce di alcuni ruoli, non strettamente connessi all’antimafia ma in ogni caso importanti e delicati come per esempio la magistratura di sorveglianza.

Esattamente.

Come sappiamo la mafia non è solo un problema criminale ma anche sociale poiché si nutre sia di relazioni interpersonali con professionisti sia di consenso sociale. A questo riguardo, secondo lei la presenza di corsi di formazione sul fenomeno mafioso in facoltà differenti da giurisprudenza o scienze politiche, come per esempio architettura, ingegneria, medicina etc…, potrebbero essere utili per la formazione di futuri professionisti maggiormente consapevoli del fenomeno?

Io credo che la storia delle mafie sia utile in ogni facoltà. Dubito però, che concretamente questo possa essere possibile. Credo che nelle università di giurisprudenza oltre che il corso specifico di storia delle mafie, vadano anche proposti dei corsi di storia economica perché ormai le mafie hanno una proiezione diversa rispetto al passato, quando uccidevano e sparavano, oggi fanno attività economica. Quindi penso che sia bene per i giovani studenti avere almeno un’istruzione base.

Alla luce di quanto detto in questa intervista, secondo lei come potrebbe migliorare l’università italiana?

Non conosco molto bene il sistema universitario italiano perché non frequento pienamente l’università. Però penso che l’università si debba attrezzare per rispondere meglio alla società di oggi e debba accompagnare la crescita verso un’Italia completamente diversa da quella di adesso. In questo processo la formazione universitaria è fondamentale altrimenti i giovani non riusciranno a trovare un lavoro e saranno costretti ad emigrare altrove.

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