di Jacopo Pozzali
Cento passi, uno avanti novantanove indietro. Cosi si può rappresentare il cammino dello Stato nella lotta alla mafia. Ogni piccolo passo verso la legalità è vanificato dalla miopia delle istituzioni troppo spesso colpevoli di compiere “scelte sbagliate”.
L’ultima di queste è arrivata il 21 agosto, quando è stata resa pubblica la decisione dello Stato di mettere all’asta la Tenuta di Suvignano a Montironi d’Arbia (Siena).
LA STORIA
Tenuta di 713 ettari, tra campi coltivati, oliveti ed una villa, quella di Suvignano.
Acquistata alla fine degli anni ’70 dal costruttore palermitano Vincenzo Piazza, la tenuta viene confiscata una prima volta da Giovanni Falcone nel ’83, poi nuovamente nel 1994, quando Piazza viene arrestato per associazione a delinquere di stampo mafioso, con l’accusa (accusato) di essere l’immobiliarista di Cosa Nostra.
Dopo anni di amministrazione giudiziaria, già nel 2009, si era tentato di mettere la tenuta all’asta. Il tentativo, scongiurato con decisione dall’allora Prefetto di Siena Gerarda Pantaleone, aveva obbligato lo Stato ad un passo indietro. Era così maturata la decisione di valutare se ci fossero altre strade percorribili prima di procedere alla messa in vendita.
Nel frattempo nel 2010 è stata istituita l’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Confiscati alla Mafia, proprio con lo scopo di gestire e valorizzare al meglio le risorse incamerate grazie alle confische; cercando di evitare che tali beni finiscano nel dimenticatoio delle lungaggini burocratiche o, peggio ancora, tornino in mani criminali in seguito alla vendita all’asta.
Questo era il progetto sulla carta ma la realtà purtroppo è diversa e ci è restituita sia dalla notizia della messa all’asta della tenuta di Suvignano, sia dall’analisi della situazione dei beni confiscati ai boss, pubblicata su libera.it da Davide Pati).
IL PROGETTO
Torniamo alle vicende di Suvignano. Dopo l’apertura dello Stato alla valutazione di progetti, numerose associazioni come Libera e Arci Terra Futura con l’appoggio del comune di Montironi, della Provincia di Siena e della Regione Toscana avevano dato il via ad un’iniziativa comune che aveva portato il 10 gennaio ad un incontro tra il presidente della Regione Toscana Rossi e l’allora Ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri in cui era stato presentato il progetto della Regione.
In cambio di un affitto simbolico, affidare la gestione di Suvignano all’azienda agricola regionale di Alberese che avrebbe avviato un piano basato su coltivazione, filiera corta ed energie rinnovabili. Oltre alla creazione di una scuola di legalità e di colonie per accogliere ragazzi disagiati e donne maltrattate.
Qualche giorno fa però è arrivato dall’Agenzia Nazionale un diniego che suona come una beffa: il progetto di Regione Toscana non è ricevibile, quindi la tenuta verrà mesta all’asta.
Com’è possibile che un progetto presentato da una regione, una provincia ed un comune, firmato da un’associazione faro nella lotta alla mafia come Libera non sia ricevibile?
La sensazione è che si tratti di una questione di “picci”, traduzione: in un momento di crisi economica lo Stato preferisce fare cassa vendendo piuttosto che appoggiare un progetto di legalità e che in più risponde, come ha fatto notare anche il sindaco di Monteroni Jacopo Armini, al principio di legge che stabilisce il riutilizzo sociale dei beni confiscati.
Le associazioni non sono rimaste a guardare. Stanno crescendo, in questi giorni, adesioni e sostegno alla mobilitazione che culminerà domenica 8 settembre con la manifestazione “Riprendiamoci Suvignano”.
Anche gli enti locali hanno mal digerito il decreto dell’Agenzia Nazionale: il governatore di Regione Toscana Enrico Rossi, infatti, ha espresso l’intenzione di fare ricorso presso il TAR per fermare la vendita della Tenuta.
Ora, il prossimo passo tocca allo Stato, si spera che questa volta sia nella direzione giusta.