di Franco Garofalo
E’ vero, in queste settimane le cronache di mafia sono state ricche di notizie e spunti di riflessione. Dalla ‘ndrangheta che fa l’andirivieni tra Svizzera e Lombardia, secondo il principio della moltiplicazione delle colonie, alle strutture di coordinamento fra Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra. Però è giusto curarsi anche di cose che sui giornali vanno poco. Ad esempio Ostia. Da anni le spiagge del grande “affaccio sul mare” della capitale sono diventate la posta di una contesa di civiltà con pochi precedenti al mondo: ossia il diritto (o no) degli abitanti di una grande città di avere libero accesso al proprio mare. Non di avere la cabina ol’ombrellone, ma proprio la libertà di accesso. Almeno su una parte di spiaggia. Contro questo diritto si sono sempre schierati i cosiddetti (e potentissimi) imprenditori balneari e i clan ostiensi, da troppo poco tempo perseguiti dalla magistratura.
Una spiaggia venne anni fa assegnata su bando a Libera e a Uisp perché la tenessero aperta. Sembrò iniziare l’epoca della decenza. E invece ne nacque una guerra di calunnie e carte bollate contro le due associazioni. Ma i cittadini non si sono arresi. Diverse associazioni, tra cui Libera e i gruppi ambientalisti, circoli civili, giornalisti, esponenti politici, sono riusciti alla fine a far togliere le catene che imprigionavano le spiagge libere. Ora però “qualcuno” è tornato alla carica. Così da qualche settimana le spiagge di sono oggetto di una offensiva vandalistica impunita.
Alcuni giorni le spiagge libere si riempiono improvvisamente di rifiuti, vetri e chiodi mimetizzati tra sabbia e pietre. Addirittura inqualche occasione la sabbia si fa rossa qua e là di teste di piccione mozzate. A Ostia la criminalità (non solo di strada) ha goduto di troppa impunità.. Ora, in nome dei diritti, va colpita con intransigenza. E privata con intelligenza di ogni retroterra sociale. A Roma lo Stato non è lontano. Deve solo darsi da fare.