di Beatrice Botticini
Lo scorso 3 marzo si è tenuto a Provaglio d’Iseo (BS) il concerto del cantautore Pippo Pollina, accompagnato dal Palermo Acoustic Quintet. La serata è stata organizzata da Macramé Eventi per l’iniziativa “Tragicamente assenti”, un percorso intercomunale dedicato alla promozione della legalità e al ricordo delle stragi di mafia. Pippo Pollina è di origini siciliane, ma da diversi anni vive in Svizzera. Attraverso le sue canzoni dai significati profondi e dalle melodie coinvolgenti, è riuscito ad appassionare un pubblico internazionale, raccontando storie di impegno civile. Un impegno che egli stesso continua a portare avanti, organizzando anche convegni e celebrando il ricordo di eroi antimafia. La storia di Pippo Pollina è raccontata nel libro scritto dal Prof. Dalla Chiesa Storie eretiche di cittadini perbene. Prima del concerto, l’artista ha gentilmente concesso la seguente intervista.
Durante gli anni universitari hai collaborato con I Siciliani, il giornale fondato da Pippo Fava a Catania. Com’è iniziata questa esperienza?
Facevo parte del primo grande movimento antimafia di Palermo, nato durante la seconda guerra di mafia a inizio anni ’80. Nel 1983 Fava iniziò a pubblicare I Siciliani, e capimmo tutti che si trattava di un giornale particolare. Fava lo conoscevamo già, era uno dei giornalisti più impegnati. Quando l’abbiamo contattato per chiedere se fosse possibile fare esperienza, si è dimostrato molto contento. Con altri tre colleghi universitari siamo quindi andati a trovarlo in redazione a Catania. Lui era entusiasta, tant’è che ci propose di gestire un inserto, chiamato I Siciliani Giovani, per permetterci di capire come si crea un giornale. Abbiamo quindi cominciato a lavorare lì, firmandoci con uno pseudonimo. Questo progetto durò per qualche mese, fino a quando Fava fu ucciso. Seguì un momento di grosso smarrimento per tutta la redazione. Ognuno di noi ha poi intrapreso una propria strada.
È stato in quel momento che hai deciso di iniziare a viaggiare, portando le tue canzoni di impegno civile in tutta Europa?
Grazie al viaggio sono riuscito a risolvere un momento di crisi personale. Sapevo di amici che avevano fatto l’esperienza del busker, si erano finanziati il viaggio suonando. Approfittando del fatto che suonavo anch’io, mi sono detto: “Proviamoci e vediamo come va”. E ha funzionato! I tre mesi iniziali sono poi diventati sei, un anno, due anni e non sono più tornato. Tramite la musica intendevo portare i miei contenuti nei posti dove andavo. Raccontavo storie, spiegavo, diventavo un portatore di notizie di prima mano, diverse rispetto a quelle che era possibile rintracciare nei normali mass media tedeschi, olandesi o svizzeri.
Qual era la reazione del pubblico a queste storie?
C’era grande interesse. Cercavo di coinvolgere il pubblico facendogli capire la dimensione nazionale ma anche internazionale delle varie problematiche. In Svizzera, ad esempio, c’era il problema delle banche che riciclavano il denaro dei mafiosi. Dove mi trovavo, creavo un collegamento territoriale. Questo era funzionale rispetto al discorso che facevo perché creava interesse, gli spettatori si sentivano coinvolti. C’era un riscontro territoriale, perciò capivano che non si trattava di discorsi astratti o legati solo all’Italia, ma che invece riguardavano anche loro.
Ad oggi noti ancora interesse nel tuo pubblico per queste tematiche e per l’impegno antimafia?
Sì, c’è sempre interesse, anche se sta scemando. Il clamore degli attentati mafiosi del secolo scorso ha portato queste notizie sulle prime pagine dei giornali in tutto il mondo. Poi, con il passare del tempo, Cosa Nostra ha scelto una strategia meno sanguinaria, e di conseguenza anche la presenza del tema nei mass media internazionali (ma anche nazionali) è via via scemata.
Nel tuo album Racconti brevi del 2003 è contenuta la canzone Centopassi, dedicata a Peppino Impastato, giornalista e attivista ucciso da Cosa Nostra nel 1978. È una canzone nata come conseguenza naturale del tuo impegno antimafia portato avanti negli anni?
L’uccisione di Peppino è stato un momento di grande tristezza all’interno del movimento antimafia. Nel ‘78 avevo solo 16 anni ma ero già a conoscenza di queste dinamiche, ho saputo subito che avevano cercato di depistare le indagini, accusando Peppino di essere un terrorista. Negli anni ‘80 ho conosciuto a Cinisi il fratello di Peppino, Giovanni, con cui si è poi instaurata una forte amicizia. La canzone l’avevo scritta anni prima, ancora prima dell’uscita del film omonimo, ma non l’avevo mai pubblicata. Ho poi pensato di inserirla nell’album come regalo a Giovanni, per omaggiare la memoria di Peppino.
Quale pensi sia il ruolo degli artisti nel contrasto alla criminalità organizzata? Qual è la necessità di affrontare questi temi attraverso l’arte e come si può avvicinare il pubblico?
Rispetto alla mafia, così come per altri problemi legati alla società, l’arte ha sempre svolto un ruolo di megafono. Le arti hanno il potere di comunicare idee e sostenerle attraverso un linguaggio diverso, che colpisce le emozioni delle persone. Rispetto ad una problematica come quella della mafia, si riesce a coinvolgere un pubblico vasto se lo si riesce ad emozionare. Lo spettatore può acquisire una prima coscienza civile anche attraverso una melodia, l’apprezzamento di un’opera, di una canzone, di un quadro. Ci viene mostrata una via di cui non ci eravamo accorti, poi tocca ad ognuno di noi sviluppare il cammino in modo individuale. Attraverso l’arte possiamo scoprire cose nuove, veniamo sensibilizzati riguardo a certi temi e siamo stimolati ad approfondirli. L’arte serve a far stare bene chi la crea e chi ne fruisce, è uno scambio da cui entrambe le parti risultano arricchite.