di Redazione
“Mi scusi, signor Ambrosoli”, e tre, quattro colpi di pistola rimbombano in una calda e deserta notte milanese di luglio. Dopo di ciò, silenzio, un silenzio assordante che trapana le orecchie. Sono le ultime scene di “Un Eroe Borghese”, film del 1995 di Michele Placido (tratto dall’omonimo libro di Corrado Stajano), che racconta la vita dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore unico della Banca Popolare Italiana di Michele Sindona, ucciso l’undici luglio 1979 da un sicario assoldato da quest’ultimo. Il film è stato proiettato nell’aula “Roberto Franceschi” dell’Università Bocconi lo scorso diciannove settembre, alla vigilia della giornata dedicata alla Virtù Civile. La proiezione del film è stata poi seguita da una tavola rotonda, a cui hanno preso parte Umberto Ambrosoli (figlio minore di Giorgio, che alla memoria del padre ha dedicato nel 2009 il bellissimo libro “Qualunque cosa succeda”) e i professori Vittorio Coda e Donato Masciandaro. Fra i presenti molti studenti, in modo particolare, considerando il luogo, di Economia, a cui i relatori si sono più volte rivolti.
“L’onestà è la virtù della gente da poco” dice all’inizio del film un’impiegata della BPI parafrasando Stendhal, nella volontà di esaltare la figura spregiudicata e luccicante di Sindona, e condonando ogni illegalità da questi compiuta, nella convinzione che la legge e le regole non fossero altro che meri ostacoli formali alla genialità delle sue operazioni finanziarie. Ambrosoli, al confronto, appare ai dipendenti della BPI figura burocratica, intransigente, leguleia, insomma, “uno che se l’andava cercando”, come ebbe a dire nel 2010 Giulio Andreotti. C’è però una scena molto suggestiva in cui Michele Sindona, messo alle strette dalle indagini e dalle scoperte di Ambrosoli, riconosce che il suo avversario non è per nulla “un avvocaticchio”, come egli stesso lo definiva inizialmente, quanto piuttosto un uomo in fin dei conti a sé simile, da un punto di vista di intelligenza e capacità; guardandosi allo specchio si chiede dunque: “ma chi gliela fa fare?”. Per Ambrosoli sarebbe stato sufficiente fare un piccolissimo cenno di assenso, chiudere gli occhi per un momento su qualcosa (come sul Piano Risanatore che gli era stato proposto), essere semplicemente meno curioso, come ha detto il figlio Umberto, per salvarsi. Avrebbe potuto cedere a qualche richiesta che gli veniva dalla politica ed oltre ad avere salva la vita gli si sarebbero aperte mille opportunità di carriera, si sarebbe potuto trovare nello stesso mondo luccicante di Sindona. E invece Sindona è a New York, fra ricche automobili e in una suite lussuosa, mentre Ambrosoli lavora tutta la notte alla BPI, rientra a casa la sera tardi in tram, riceve minacce di morte, vive una solitudine non solo istituzionale ma a volte anche drammaticamente personale. Chi gliel’ha fatta fare?, si chiede Sindona e si chiedono i ragazzi che guardano il film. L’onestà, il senso dello Stato, il senso del dovere? Certo, anche queste cose. Ma i relatori hanno una risposta, una chiave di lettura che precede tutto ciò: quello di Giorgio Ambrosoli è stato primariamente un gesto e un insegnamento di libertà. Dice infatti il figlio Umberto: “Sento spesso dire che mio padre ha sacrificato la sua vita per tutti noi. È un’espressione bruttissima, nonché falsa. Mio padre non ha sacrificato la sua vita, ma piuttosto l’ha vissuta pienamente, sapendo distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è, scegliendo liberamente il giusto dall’ingiusto ed assumendosi la responsabilità che la libertà sempre comporta”. E a volte la libertà può anche significare andare incontro alla morte, non per sacrificare e calpestare la vita ma per vivere degnamente: libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta.
Il silenzio nell’aula si fa spesso, i ragazzi sono incitati dal professor Coda a fare proprio l’insegnamento di libertà di Ambrosoli, come chiave di soluzione di ogni scelta, di ogni bivio nella propria vita personale e professionale, affinché davvero si possa andare incontro con testa alta e cuore sgombro a “qualsiasi cosa succeda”, come scrive Ambrosoli in una bellissima lettera-testamento alla moglie Annalori. La sera si è fatta tarda, i relatori hanno smesso di parlare, la gente inizia ad andarsene. “Aspettate!” dice il professor Masciandaro, e rivela a sorpresa che presente tra il pubblico c’è Silvio Novembre, Maresciallo della Guardia di Finanza, braccio destro e ombra fedele di Giorgio Ambrosoli durante gli anni alla BPI. Novembre si alza in piedi, appoggiato tremante a un bastone, e fa un cenno con la mano alla platea, che risponde con un lungo, lunghissimo applauso, per Novembre, per Ambrosoli, per tutti gli uomini liberi, un applauso che non vorrebbe mai finire.