di Danilo Rota
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fulvio-sodanoIl 27 febbraio scorso è morto l’ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano. Da anni gravemente malato di sclerosi multipla, il prossimo 9 marzo avrebbe compiuto 68 anni. Il Presidente della Commissione Antimafia del Parlamento europeo, Sonia Alfano, lo ha così ricordato: “Un uomo straordinario e un servitore dello Stato eccezionale, che ha saputo dare risposte concrete a un territorio devastato dalla mafia e dalla mala politica. Un uomo di legge che alcuni hanno tentato di umiliare e screditare, senza però poterne scalfire l’immagine: di lui, infatti, tutte le persone oneste conserveranno un ricordo dolcissimo”.  Un uomo dello Stato, quello vero, perchè – usando le sue stesse parole – “lo Stato non sempre sta dalla parte dello Stato”.

La vicenda che più lo ha interessato riguarda un’azienda edile trapanese, la Calcestruzzi Ericina Srl, nelle mani del boss mafioso Vincenzo Virga (capomandamento di Trapani) dal 1991. Sebbene nel 1996 venga sequestrata e nel 2000 definitivamente confiscata, per ben 5 anni (dal 1996 al 2001) l’impresa rimane di fatto sotto il controllo della famiglia Virga. Gli amministratori giudiziari palermitani infatti si recano in azienda solo saltuariamente, così Cosa Nostra ne mantiene con facilità il controllo grazie a lavoratori complici e a parenti (il figlio del boss, Pietro Virga).
Come ben spiegato da Alessandra Coppola e Ilaria Ramoni nel libro “Per il nostro bene” (Chiarelettere), “se intende mantenere in piedi la struttura (…), spesso la mafia fa in modo che dentro rimanga un parente, un fratello, un cugino. Un <<garante>>, spiega il pm (di Trapani, Andrea Tarondo, nda), qualcuno in grado di maneggiare l’impasto e di tenere i contatti con i fornitori, i clienti, il mondo esterno che l’amministratore – magari un commercialista del capoluogo che non ha mai visto una betoniera in vita sua – non può conoscere”.
La Calcestruzzi è dunque nelle mani dello Stato, ma viene gestita dai mafiosi, che se ne fanno beffa. A tal punto che l’azienda continua a produrre molto nei suoi stabilimenti di Trapani, Valderice e Favignana, come se lo Stato non esistesse. Nel 2001, però, ecco la svolta: viene arrestato il boss latitante Vincenzo Virga. A capo del mandamento di Trapani gli subentra così Francesco “Ciccio” Pace, che cambia strategia: non più controllare l’impresa, ma boicottarla, facendo sì che non riceva più commesse e, quindi, fallisca. L’intento è insomma quello di crearle il deserto intorno, in modo da indurre lo Stato a venderla (anzi, svenderla) a un prezzo bassissimo, per poterla ricomprare a pochi soldi attraverso dei prestanomi. Una parte dello Stato, quello falso, aiuta i mafiosi a perseguire il loro scopo. E’ il caso di un funzionario dell’Agenzia del Demanio di Trapani, il geometra Francesco Nasta, che si premura di fissare la base d’asta a un valore di molto inferiore rispetto al prezzo di mercato. Compare anche un imprenditore che intende acquistare l’azienda. C’è solo un piccolissimo problema: la Calcestruzzi Ericina non è stata messa in vendita, nè mai lo sarà. Ciò anche grazie alla determinazione del prefetto Sodano, che – mantenendo la schiena dritta – decide di impegnare tutto se stesso per la causa dello Stato, quello vero. Fa di tutto per far in modo che – al contrario degli intenti dei mafiosi e dei loro amichetti – l’impresa di proprietà dello Stato abbia lavoro.
E ci riesce, pur tra mille difficoltà. Le commesse arrivano, come quei 2 miliardi di lire (è il 2001) da una ditta catanese di costruzioni, la quale ha bisogno di calcestruzzo per consolidare le banchine del porto di Trapani. Anche con il sostegno dell’associazione Libera di don Luigi Ciotti, nel 2008 i 13 lavoratori creano la cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera, che dal giugno 2011 a oggi gestisce la fabbrica per conto dello Stato (concessa in affitto per vent’anni). Nonostante permangano alcuni problemi non indifferenti (i lavoratori devono pagare ogni mese 5.000 euro tra affitto allo Stato – che per legge dovrebbe essere gratuito – e mutuo di 700.000 euro a Unipol – anche se il proprietario è lo Stato e non la cooperativa), l’azienda non solo è rimasta nelle mani della collettività, ma continua a vivere nel segno della legalità. Il tutto anche per merito del prefetto Sodano, nel frattempo – siamo nel 2003 – trasferito ad Agrigento (nonostante avesse chiesto di non essere spostato per ragioni di salute), apparentemente senza alcun motivo. O forse con un motivo fin troppo chiaro: lo Stato falso non può tollerare che vinca lo Stato vero. Così, colpevole di essere stato ligio al proprio dovere nei confronti delle Istituzioni e di aver profondamente rispettato la legalità e il bene comune, Sodano è costretto a lasciare Trapani.
Ha ben in mente il responsabile del suo allontanamento e non ha timore a rivelarne l’identità: trattasi del sottosegretario al ministero dell’Interno Antonio D’Alì (dal 2001 al 2006, governo Berlusconi). Soggetto meritevole di attenzione, questo D’Alì. Infatti riceve le attenzioni delle forze dell’ordine e dei magistrati antimafia. Per i suoi rapporti con Cosa Nostra, in particolare con la potentissima famiglia dei Messina Denaro (Matteo, latitante, è attualmente il capo dell’intera Cosa Nostra) viene processato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il 14 giugno 2013 i pubblici  ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo chiedono la condanna del politico a 7 anni e 4 mesi di reclusione. Il 30 settembre il giudice sancisce – in 1° grado di giudizio – la prescrizione del reato commesso fino al 1994 e l’assoluzione per il periodo successivo. Nel frattempo, nell’aprile dello stesso anno, D’Alì era stato confermato dall’ex Procuratore Nazionale Antimafia e Presidente del Senato Pietro Grasso quale rappresentante dell’Italia presso l’Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea (Apem), a Bruxelles. Ma la carriera politica di D’Alì (prima in Forza Italia, poi nel Popolo della Libertà, infine nel Nuovo Centro-Destra, partito di governo con Matteo Renzi) non si arresta: Presidente della Provincia di Trapani (dal 2006 al 2008) e senatore (ininterrottamente dal 1994 a oggi). 

Purtroppo è l’ennesima dimostrazione del fatto che coloro i quali servono fedelmente lo Stato (quello vero) vengono emarginati e dimenticati; chi al contrario serve le mafie viene premiato e rimane ai vertici delle Istituzioni. Per questo tutti i cittadini onesti sanno di essere rappresentati non da un senatore della Repubblica, ma da un ex prefetto morto in solitudine e nell’indifferenza dei più.

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